Franco Casillo |
La rete dei Casillos sta tutta m un foglio Excel. Oggi che il figlio Mario prosegue la saga familiare. Il papa, Franco, prima dell'avvento del digitale, usava pezzi di carta che teneva sempre nelle tasche. Comuni, nomi dei sindaci, dei consiglieri, dei deputati o eurodeputatì, tutti di comprovata fede, con relativi voti. Una mappa del consenso aggiornata elezione dopo elezione e sempre a portata di mano. Non è mitologia, raccontano nel Pd, ma pura realtà. D'altronde anche le pietre lo sanno: nel Pd in Campania non c'è foglia che si muova se non lo decidono i Casillo. Impossibili da scindere non solo umanamente, anche politicamente. Tant'è vero che in un primo momento i magistrati ascoltando «Casillo non ti vuole» pare abbiano pensato all'attuale capogruppo del Pd in consiglio regionale e non al padre. D'altronde pure la carriera è identica (consigliere a Boscoreale, assessore, consigliere regionale) e come per molti figli d'arte, anche per Mario, è valsa la regola aurea che i voti si ereditano come il comò della nonna. Da Boscoreale alla corte di Renzi, il passo è stato tutt'altro che breve, ma scontato. Perché dove c'è aria di vittoria c'è un Casillo. Franco ha macinato chilometri prima di diventare riferimento della Dc demitiana e delle sue evoluzioni, Ppi e Margherita. Con l'ex presidente del Consiglio tronca quando De Mita decide di lasciare nel 2008 il Pd. Franco Casillo resta e approda in consiglio regionale fino al 2010, quando poi passa il testimone al figlio. Innata propensione al silenzio, rarissime le interviste, ancor più rari gli interventi in aula, Casillo ha fatto del low profile una cifra politica oltre che caratteriale.
Chi frequenta le rare assemblee democratiche, ma anche altri consessi lo trova sempre: Casillo senior è nelle ultime file o in piedi, ma quando bisogna mediare, decidere, eccolo pronto a impartire direttive ai suoi. È, se dovessimo darne una definizione, il papa di tutti i micronotabili in circolazione. Mauro Calise scuserà l'impertinenza, ma alla fine è osservando Casillo che U politologo ha coniato la brillante definizione con la quale si descrive, nel Partito democratico, i portatori sani di voti, ma anche la distanza siderale tra il centro e la periferia. Tra la politica e la ricerca del consenso per il consenso. Che sinora, è scritto sul foglio Excel, ha fruttato eccome. Non esiste un comune grande, medio, piccolo o piccolissimo in tutta la provincia di Napoli, dove non ci sia un suo uomo: sia sindaco, sia consigliere comunale, municipale o assessore, purché in ruoli strategici e di peso. Non c'è consiglio di amministrazione di partecipata o affine, da Gori a Soresa, in cui non sieda un casilliano. I voti di Casillo hanno pesato anche nelle elezioni europee, basta chiederlo a Nicola Caputo. E alle comunali, leggasi Salvatore Madonna, il più votato del Pd con quasi 3.500 preferenze. All'inaugurazione del suo comitato a San Giovanni a Teduccio c'era più gente che dalla ministra Maria Elena Boschi. Ma il vero colpaccio lo ha fatto quando è stata eletta segretaria regionale Assunta Tartaglione che, bonariamente, ha sempre chiamato Franco «grande capo» e Mario «fratellino». Tartaglione vince le primarie grazie all'accordo con Vincenzo De Luca e il suo vice diventa il deluchiano Nello Mastursi. Un patto talmente di ferro da tenere in ostaggio un partito intero, Renzi compreso, quando si deve scegliere il candidato alle regionali e da Roma tentano di disarcionare De Luca. I Casillo resistono. De Luca viene eletto. Un altro nome da appuntare sul foglio Excel.
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