Vico Equense - Cosa volete che sia una piccola città di mare al cospetto di una metropoli o di una grande città nel mondo? Un puntino, un insignificante puntino, risponderete. Un puntino in un villaggio che possiamo visitare da un capo all’altro in tempi rapidi. Ma anche i puntini possono avere una luce propria e cambiare la logica dei luoghi. Il puntino in questione è Vico Equense. Un puntino posto sulla porta d’ingresso della penisola famosa, quella sorrentina, in un golfo altrettanto famoso, quello di Napoli, in un paese conosciuto in tutto il mondo, o villaggio di cui parlavamo, l’Italia, e se anche non brillasse di luce propria, dovrebbe riceverne di riflesso. La luce di Vico è propria per svariati motivi che vanno da quelli storici, geografici e culturali, a quelli gastronomici, turistici, paesaggistici. E’ la prima città che si incontra venendo qui, la porta d’ingresso della penisola. E, come nel Paradiso San Pietro accoglie chi arriva, qui Vico accoglie chi giunge da fuori. Qui si avverte subito uno stile di vita diverso, più a misura d’uomo, più sano, più vario. La strada che costeggia il mare ci porta dolcemente fino alla stazione per poi condurci, da qui, nel centro cittadino. La posizione di Vico la vede protagonista tra mare e monti. Secondo Aristotele una città posta troppo in alto è di natura tirannica, una posta in pianura di tipo ortogonale è democratica, ma ce n’è un’altra disposta a“filari di vite”, vale a dire terrazzata sul versante di un pendio che risulta più difendibile e democratica.
Vico è il primo comune della costiera per numero di abitanti, 21mila, su 30 km quadrati di territorio. La sua estensione va dalle spiagge di Aequa e Seiano alla costa opposta della penisola con Tordigliano, sul versante che va a Positano. E’ ricca di colline, montagne, sentieri e acque, vegetazione mediterranea, fauna, costa alta e spiagge ampie, luogo ameno per eccellenza. San Pietro accoglie indagando, Vico accoglie con grande ospitalità. Il primo biglietto da visita è il panorama, con colline alle spalle e mare davanti, Vesuvio in lontananza e Faito in testa. Ma l’occhio non è deluso quando ci si inoltra e la fontana al centro indica dove dirigersi, continuando la cattedrale di San Ciro e San Giovanni, a destra si procede verso la Villetta Paradiso, ma prima ancora il Castello Giusso, la Cattedrale della SS. Annunziata, sulla sinistra continuando, la SS. Trinità e Paradiso…Sull’altro versante quello interno, Santa Maria del Toro, più su Il Convento di San Francesco… E poi le tante strade da esplorare, il sentiero della Sperlonga, adiacente al Cimitero, a San Francesco, più su a Moiano, i sentieri che partono da Santa Maria del Castello verso Positano e la penisola sul golfo di Salerno. Ho scoperto che questo puntino non è poi così sconosciuto. Trovandomi a Firenze per una presentazione, nella hall dell’Hotel in cui soggiornavo, ho trovato brochure dei luoghi da visitare, posti in bellavista per i clienti, con Vico rappresentata, tra l’altro, dagli scogli della Tartaruga e Margherita. Il giorno dopo un bel po’ di turisti era in partenza per la Campania, destinazione penisola. Tutti portavano in mano la brochure con su Vico. In una libreria di Genova, invece, ho trovato una guida completa dei sentieri di Vico, illustrata e arricchita con la descrizione di fauna e flora del posto, con immagini spettacolari. Il libraio mi informò che i genovesi, quando si allontanano da casa, cercano luoghi simili e i sentieri di Vico li fanno sentire a casa. Ancora, ricordo di quella volta in Cornovaglia, di fronte a Michael Mount, nell’hotel del signor James, fui attratta da una foto in bianco e nero, in penombra, posta in un salottino che dava verso l’isolotto di Saint Michael, con su il panorama più cliccato d’Italia, quello della Chiesa della SS. Annunziata. Sull’immagine c’era la scritta rossa della città e quando scendevo a colazione, il mio posto era sempre di fronte, a volte anticipandomi per impedire che una famiglia tedesca beneficiasse della visuale. Un modo per sentirmi a casa davanti alla chiesa, col mare e il Vesuvio. La bella foto era stata lasciata da turisti per portare un pezzetto di Vico con loro e poi donata al direttore di sala. Lo stesso signor James aveva ammesso di voler visitare la nostra terra e la foto gli ricordava il viaggio che avrebbe intrapreso a breve. Il “puntino” l’ho trovato anche a Vienna su una sorta di arazzo stilizzato, dove c’era un sole che sbucava dal Faito a illuminare la conca. Non sembrava vero che quei raggi facessero capolino da un telo gigante, rivelatosi poi plastificato, nello specchio della caffetteria. A vedere quei raggi che inondavano gli smerli del castello Giusso, mi riscaldavo un po’, mentre fuori imperversava il freddo malgrado fossimo a maggio inoltrato. Seppi che un proprietario della Caffetteria era napoletano, e sicuramente vicano a questo punto. Foto della Vico Gastronomica sono giunte anche in Australia, portate lì da una mia cugina, per insegnare ai pasticcieri l’arte del dolce e del gelato. Nella immensa Australia tutto è troppo nuovo, troppo moderno, e chi giunge nella vecchia Europa, cerca di portare un pezzo della sua terra in quei luoghi da cui non sanno se torneranno mai più. Mia cugina ha voluto portare il gelato, sì quello di Gabriele. Ora anche Gabriele di Vico, e non so se sia valore aggiunto Gabriele a Vico o Vico a Gabriele, avrà il suo pezzo di gloria a Melbourne e se vorrà, potrà avere una colonia lì, c’è già chi fa da gancio. Le foto della gelateria, delle vetrine, dello spazio fuori, fatte in un pomeriggio d’agosto, tutte con cura dei minimi particolari, dalla scritta fuori, al banco dolci, alle fragoline, alle mie cassatine, ai formaggi, alle torte, sono state raccolte e catalogate con tanto di supervisore, il direttore Peppe d’Esposito, che, come giornalista di razza, si trova sempre al posto giusto e nel momento giusto e ha gustato con noi un sorbetto delizioso. Mentre in silenzio sulla panchina esterna consumavano la coppetta, tutti e quattro, mia cugina aveva gli occhi di una bimba quando mangia qualcosa di veramente buono. Silenziosa per tutto il tempo, guardando nella vaschetta il suo sorbetto e poi il gelato, la brioche….Quasi non voleva andarsene. Se poi aggiungiamo che anche l’Africa apprezza la nostra cucina costruendo gemellaggi e venendo qui a imparare l’arte culinaria, se anche l’America tra i suoi pionieri ha una folta schiera di persone andate lì a trovare fortuna e che hanno portato con loro la città non solo nel cuore ma anche nei fatti, mantenendo usi e costumi della loro terra, vediamo come questo puntino sia riuscito a caricarsi di una luce…e sappiamo quanto valore abbia un punto luce!
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