Ieri in piazza Mercato a Vico Equense |
Vico Equense - Il Carnevale si pone tra l’Epifania e la Quaresima, e col martedì grasso, suo ultimo giorno, comincia l’astinenza dalla carne e di ogni cibo sofisticato per il sopraggiungere della Quaresima. Carnevale, dal latino, “carnem levare”, significa proprio togliere la carne. Il vero valore religioso è quello della riflessione che prepara al periodo pasquale. Ma prima ancora che festa religiosa, il Carnevale è stata una festa pagana, che coincideva con le dionisiache, da Dioniso dio del vino, feste di ebbrezza legate al culto della terra, che veniva invocata con riti propiziatori, così come le Saturnali, in onore del dio Saturno che sfociavano in vere e proprie orge. Oggi il Carnevale assume un valore di scioglimento dai legami quotidiani, perché ciascuno possa sentirsi libero dalla vita di tutti i giorni col bisogno di un capovolgimento dell’ordine prestabilito, festeggiando la libertà col riso e la compagnia. Una vita slegata dai suoi canoni e dalle sue leggi che rende tutti uguali attraverso festeggiamenti di intere città, gruppi e momenti di aggregazione sociale. Il festeggiamento collettivo dà la possibilità di confondersi, di essere per un giorno diverso e incarnare un ruolo nuovo, magari mai rivestito prima. Il Carnevale dà la possibilità di indossare una maschera per un giorno, difatti in latino maschera si dice “persona” e mascherandoci siamo la nuova versione di noi stessi.
E’ la festa religiosa che lo chiede, come se, per ottemperare alla volontà di Dio, noi avessimo bisogno di un obnubilamento totale, un offuscamento completo. Schiamazzi e scherzi, ironie e baldoria culminano in feste di piazza, con grande partecipazione di tutti. Il Carnevale mette d’accordo grandi e piccoli, libera da legami e doveri per scambiarci le parti, poter ridere e deridere gli altri, scherzare con se stessi e col prossimo. La maschera ha un grande valore, anche a livello letterario, ma qui si lega con lo spirito carnascialesco del passato. Essa risale al Paleolitico, quando ci si adornava con modelli fatti di pelli e oggetti suonanti per richiamare gli spiriti. L’uomo ha sempre avuto bisogno di mascherarsi, un voler diventare altro da sé, per spogliarsi del proprio ruolo, ma anche per caricarsi di una maggiore attrattiva, come a voler scherzare con la propria identità. D’altra parte anche gli antichi, a cominciare da Seneca e prima ancora Orazio e poi Sant’Agostino, erano soliti dire: ”Semel in anno licet insanire”, espressione molto adottata nel Medioevo per dire che almeno per una volta era lecito perdere la calma e dare fiato alla follia. Nei Canti Carnascialeschi di Lorenzo il Magnifico, il Trionfo di Bacco e Arianna, si legge una freschezza di intonazioni, scritti per festeggiare un momento gioioso, come la strofa dedicata alla giovinezza, che racchiude una vena malinconica proprio in quell’accento di gioia che le si vuol dare quando dice:”Quanta è bella giovinezza che si fugge tuttavia, del doman non c’è certezza chi vuol esser lieto sia!” mentre sottolinea che essa sarà di breve durata. I canti preannunciavano la festa con carri e schiamazzi, siamo nel Rinascimento e ancora oggi da quelle parti si festeggia a quel modo così come nelle altre parti d’Italia. Nei versi del Magnifico un nuovo concetto, un invito, ricco di umanesimo, a vivere il giorno, la giovinezza, per non poter contare sul domani, di cui non si sa nulla. Concetto filosofico questo molto in voga anche nella società odierna, società liquida come la definisce Zygmunt Bauman. Col tempo il Carnevale si è arricchito di maschere con proprie caratteristiche e legate alla Commedia dell’arte, nate tra cinquecento e settecento, come Arlecchino, Pulcinella, Colombina…Sono maschere che seguono un canovaccio nelle loro farse, assolvono a un ruolo, sono nate in circostanze letterarie e continuano a rappresentare nel tempo la tradizione carnevalesca. La letteratura ama il ruolo della maschera, inteso come bisogno di trincerarsi dietro un paravento, non solo per vivere una nuova identità, ma anche per potersi esprimere meglio, così che senza riconoscersi e farsi riconoscere diventa più semplice manifestarsi. Spesso siamo capaci di raccontarci più a coloro che non ci conoscono che quelli che sanno tutto sul nostro contro. Uno, nessuno, Centomila, Il fu Mattia Pascal, solo alcuni dei titoli di Luigi Pirandello, in cui ha messo in scena la difficoltà ad avere una maschera sola sul volto, per dire che la fatica più grande è proprio quella di essere se stessi. Molto spesso, secondo Pirandello, ci serviamo di più maschere, a seconda dell’’ occorrenza, per poterci manifestare e rapportarci agli altri. Carnevali famosi nel mondo sono quello di Venezia, che ricalca il settecento letterario, e poi Viareggio, Putignano, ma il più lungo e colorato è quello del Brasile che festeggia per lungo tempo facendo accorrere turisti da tutte le parti del mondo.
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