Giancarlo Siani |
Questa appena sfogliata è l’unica pagina che «Il Mattino» nei suoi 125 anni non avrebbe mai voluto pubblicare. Questa è la pagina che ha segnato la vita de «Il Mattino», la mia, quella della mia famiglia e degli amici di Giancarlo. Oggi, dopo quasi 32 anni, posso dire che ha segnato anche la vita della città. È una pagina dolorosa anche per come fu impaginata, e coloro che quella notte c’erano ne sono testimoni. Ci sarebbe voluto un atto di coraggio che invece non c’è stato. Il suo giornale quella notte ha avuto paura. Giancarlo ha segnato la vita de «Il Mattino», lui che era per natura riservato e che non amava essere protagonista è diventato un simbolo per i ragazzi di Napoli e per tanti giovani che hanno voluto scegliere il mestiere di giornalista per seguire il suo esempio e forse anche per vendicarlo. Sono tante poi le pagine de «Il Mattino» in cui si parla di Giancarlo, e il salone dove ogni giorno si pensa il giornale è stato, negli anni successivi, intitolato proprio a lui, a quel ragazzo timido e riservato che in quel salone da vivo forse non c’è mai entrato, a quel ragazzo che non era ancora un giornalista ma solo un abusivo.
Quel ragazzo, quel giornalista abusivo è entrato per sempre nella vita del suo giornale. Io le ricordo tutte quelle pagine. Ricordo le speranze e le delusioni per le indagini che tardavano a prendere la giusta via, ricordo poi, col passare del tempo, dei mesi e degli anni, la mia solitudine, lo sconforto e la disperazione dei miei genitori, nessun esito dalle indagini, ci si stava dimenticando di Giancarlo e anche le pagine de «Il Mattino» diminuivano. Nella mia mente restano ben impressi gli anni in cui il 23 settembre eravamo soli, disperati, senza verità e giustizia e senza Giancarlo. Questo è bene ricordarlo, perché questa è la storia di tutti i familiari delle vittime innocenti della criminalità, questa è la solitudine che ci accomuna tutti. E poi lo scatto di ribellione, la nascita dell’associazione, la mobilitazione nelle scuole, le giornate per la legalità che io e il mio amico Geppino Fiorenza ci inventammo ben prima che don Luigi Ciotti chiamasse tutti i familiari a raccolta il 21 marzo con grandi manifestazioni nazionali, poi la nascita del Coordinamento dei familiari delle vittime innocenti della criminalità, fino alla Fondazione Polis nel 2008. Poi sono arrivate le condanne, i film su Giancarlo, Radio Siani, le innumerevoli scuole che chiedevano di essere intitolate a lui, le rampe al Vomero che portano il suo nome, le commemorazioni il 23 settembre da parte del sindaco, il premio a lui intitolato che si svolge proprio nel salone del suo giornale, fino alla semplice cerimonia che un gruppo di ragazzi organizza da tre anni nel giorno del suo compleanno sotto la sede de «Il Mattino» con torta e spumante, come se lui fosse ancora qui. Tutto questo trovate nelle pagine del suo giornale, e trovate tra le righe anche lo sconforto dei suoi colleghi, la voglia di riscatto e la tristezza per aver perso un amico e non essere riusciti a difenderlo. Ora Giancarlo, grazie all’impegno di tanti e anche de «Il Mattino», è un simbolo per i giovani, che ancora oggi scrivono «come potremmo mai dimenticarlo? Giancarlo è un gigante, sempre vivo e presente perché è l’emblema della “meglio gioventù”, una figura di riferimento per tutti e non solo per i giovani». Lui rappresenta la voglia di riscatto e di libertà dalle mafie e mi viene da pensare a quanto fosse solo in quei terribili anni ‘80. Immagino la sua solitudine nell’affrontare temi delicati, non aveva nessuna rete di protezione. E infatti è stato un facile bersaglio. Ed è bene ricordare che Giancarlo non ha scritto solo di camorra ma la maggior parte dei suoi articoli su «Il Mattino» sono dedicati al mondo del lavoro, alle lotte operaie, alle giuste rivendicazioni sindacali. Oggi è certamente più facile parlare di Giancarlo, salire sulla sua Mehari, raccontare quegli anni, il difficile era farlo allora, nel 1985. So bene che c’è una grande parte del territorio della nostra regione che ha delle risorse incredibili, ed è spesso la parte più giovane, quella che ha ancora dei sogni, delle aspirazioni, ambizioni che nessuno è riuscito ancora a distruggere. Ai ragazzi chiedo di continuare a sognare e di battersi per cambiare il nostro Sud. La Mehari che tutti ricordano a Torre Annunziata come a Napoli e che, pochi giorni prima dell’inizio delle riprese del film di Marco Risi «Fortapàsc», è stata ritrovata e che io custodisco gelosamente, è un simbolo di riscatto, di legalità e di giustizia. Il «viaggio» della Mehari che da Napoli è arrivata fino a Bruxelles, al Parlamento Europeo, e che è stata recentemente in Emilia Romagna per il processo Aemilia, ha portato con sé non solo la storia di Giancarlo, ma anche quelle di tutte le vittime innocenti di criminalità e dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo e nei territori colpiti dalle guerre. In questi anni ho incontrato migliaia di ragazzi, ho intercettato i loro sguardi, ho ascoltato le loro parole, ho condiviso i loro sogni, ho apprezzato la loro voglia di cambiamento. A tutti questi ragazzi della nostra regione, chiedo di continuare a sognare una Campania libera dal malaffare. Qui è in gioco il vostro futuro, il futuro della nostra terra. Lo dobbiamo a Giancarlo, alle oltre 1000 vittime innocenti di criminalità del nostro Paese e a chi continua a sognare una Napoli, una Campania e un’Italia migliori e libere dalla mafia. Trasformiamo insieme questo sogno in realtà. Ce la possiamo fare. Pensate che il futuro è nelle vostre mani e non permettete a nessuno di rubarvelo, meno che mai a chi fa della violenza la sola ragione di vita. Voi siete più forti e siete la maggioranza. Forza, forza ragazzi.
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