Nicola Barbatelli |
Vico Equense - Il 20 maggio del 2016 s’inaugurava, nel Palazzo Comunale di Vico, lo spazio espositivo permanente dedicato al genio artistico di Antonio Asturi, il pittore della costiera, erede della tradizione artistica napoletana del tardo Ottocento. Si misurava la sua attività di studio delle cose d’Oltralpe, e si meditava sulla genesi dei suoi capolavori di scorci costieri, maternità e paesaggio, che da ogni parte si affollavano per raccontare il verbo di un pittore di sentimenti prestato alla divulgazione della narrativa popolare. Si mise mano anche allo studio della sua intricata biografia. Quella che per ben due volte fu ottimamente ricapitolata da Don Pinuzzo e poi ridotta ad un groviglio di banalità da qualche mezza calzetta di critico afferente al sottobosco culturale napoletano. Ci cimentammo – non senza difficoltà – nella ricostruzione del percorso umano e artistico di Asturi, facendo incetta dello sconfinato patrimonio di scritti inediti recuperati dalle collezioni degli eredi del pittore. Insomma, fu concepito, in tempi record, un catalogo ragionato dove si raccolsero tutti i brani di pittura donati dai familiari al Comune di Vico Equense e, alla presenza del sindaco Benedetto Migliaccio e della cittadinanza, furono offerti al grande pubblico le imprese cromatiche di un artista tanto lodato nel mondo per la sua squillante poetica della quotidianità.
Nella nobilissima vocazione culturale di quel sindaco trovavano sede le idee più geniali; si provvedeva a valutare progetti di altissima ambizione come una mostra al Petit Palais di Parigi e si immaginavano cose grandi come una rassegna su Picasso, Renoir e Pisarro. Tutto questo appariva, agli occhi di chi scrive, come una visione onirica: Vico, con le sue meraviglie, si apprestava a diventare, finalmente, un riferimento assoluto per i cultori dell’arte internazionale, e non solo. Ma poi, come accadde con le Sibille nell’Oracolo di Delfi, Fato intervenne a modificare il corso di una storia che sino a quel giorno appariva aurata da un seducente senso di misticismo quasi pitagorico. Sicché, dal momento delle magnificenti imprese di apertura del Museo Aperto Antonio Asturi, ci si è interrogati sul futuro di alcuni laboriosi programmi e soprattutto sulla valorizzazione del patrimonio generosamente offerto da Gregorio e Anna Maria Asturi. Dagli studiosi, per esempio, si attende ancora che si torni a disquisire sulle tematiche di studio intorno al Maestro, dei rapporti coi suoi contemporanei, degli ambienti del suo tempo e delle le sue genti. Certo un plauso va alle scolaresche che più d’una volta hanno affollato le sale museali per procedere alle illustrazioni dell’opera asturiana, un netto ricordo proprio nella memoria del Maestro che più volte invocava la ripresa della sua eredità pittorica. Ma non basta. Perché ora, a bocce ferme, è indispensabile che si provveda a costruire quel solido di attività che certamente porterebbero Asturi e la sua Vico a misurarsi con le grandi realtà culturali del continente, nella critica degli studiosi di cose di quel tempo, e dove probabilmente proprio il pittore vicano potrà assicurarsi quegli agognati riconoscimenti che un tempo gli furono spocchiosamente negati. Nella notte del 20 maggio lo spazio espositivo sarà offerto alla pubblica fruizione. Suggestivo, certo. Ma spero che il pubblico non attenda la prossima “notte dei musei” per attraversare le memorie di questo grande e geniale artista vicano che probabilmente starà ancora interrogandosi sulle pronunciate differenze tra Dracula e i licantropi.
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