di Filomena Baratto
Vico Equense - “Cosa c’è di più bello, in una sera d’estate, che puntare alle stelle?” La mia fantasia ha dovuto frenare, già si affollava di fatti e poesie, di storie che mi correvano incontro a dire: “Io, io, io…” per farsi presentare credendo di fare il caso mio. La prima cosa a cui ho dato ascolto sono stati i versi del nostro Torquato Tasso: “Era la notte, allor ch’alto riposo/han l’onde e i venti, e parea muto il mondo” (Gerusalemme Liberata II 96)
Ci sono tutti gli ingredienti, c’è il mare, il cielo, le stelle e la luna, il mese di agosto e questo posto dove sognare è d’obbligo. Nessuno che se ne sia andato senza aver portato via con sé il ricordo del colore del mare, della mitezza del clima, del contorno della costa, delle sagome di case aggrappate alle colline, del Vesuvio di fronte, delle barche colorate seminate nel golfo. Si va via da questo luogo solo con la promessa di ritornarci.
E di sera, puntando alle stelle, ammiriamo la volta celeste cosparsa di luci e la molle luna adagiata sul fianco, che osservano noi mortali, come fossimo burattini tirati dai fili. Scivolando sull’acqua, portati da onde silenziose, raccogliamo i pensieri più profondi, mentre ci guidano le stelle come fiaccole accese lungo i sentieri impervi del nostro inconscio prima del sonno.
Pensieri profondi, tremuli, di sottofondo a ricordare quel che siamo “ in questo mare dove è dolce naufragare” incontrastato, che conosce la ricchezza e l’abbondanza. Qui le nostre estati, qui lussuose barche, barchette come gusci di noci, yacht e panfili solcano le onde con su stranieri a caccia di pace e ozi beati, in giornate assolate e poi i bei pescherecci e i traghetti su e giù per tutta la giornata.
Ma voi lassù, stelle e luna, sole e astri tutti, siete testimoni di quel che accade su questo piano liquido, della vita di noi terreni, attratti dalla nostra vitalità. Non so se cercate di preservarci dagli scempi che vedete altrove regalandoci questa superba bellezza del luogo, a cui apponete le vostre fiammelle tutte le sere e farci credere di non sapere quello che lo stesso mare è capace di contenere, là dove tocca altri lidi e vecchi legni vogliono giungere fino a noi. E di giorno, quando il sole fa luce e ogni cosa viene a galla, sopportate silenziosamente i nostri danni e offrite preghiere ai naufraghi, che non si contano più per le coste. O stelle, se sapeste di cosa siamo capaci, lascereste il cielo e verreste giù con tutto l’esercito delle vostre sorelle a sollevarci dalle nostre pene. Restate ferme, lì immobili, sulle nostre teste a sera, quando il mare riposa e voi cercate affetto per le strade del mondo. State lì a sorridere a un bambino ancora sveglio con la mamma a cantargli la ninna; a colmare le attese di due innamorati che si raccontano, o vi accigliate se, in qualche via, un ladro corre per svignarsela e voi lo lasciate al buio per punirlo. Puntare lo sguardo su di voi rende momenti di rara bellezza che il giorno non sa darci e sarà questo il pegno che reciprocamente ci scambiamo per consolarci a vicenda: voi rubandoci la vita, noi a sognare sotto le vostre luci.
Sono secoli che vi invochiamo, come se aveste le nostre risposte, se scioglieste i nostri quesiti e se foste giudici e testimoni dei nostri errori. Non so se siete più umane o divine, se propendete per la nostra libertà o per correggerci e magari essere complici della nostra vita.
Cosa c’è di più bello che puntare alle stelle in una sera di agosto,per noi mortali, interrogandole sul futuro? Ci sentiamo un po’ tutti come il viandante nel “Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere” (G.Leopardi) dove il viandante non vuol essere rassicurato che tutto sarà come il tempo passato. Come lui, non ci basta questa certezza, lo vogliamo nuovo, diverso, strepitoso, un futuro all’altezza dei nostri sogni e delle nostre aspettative. Il viandante risponde: “Quella vita ch’è una cosa bella non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura”.Noi mortali vi chiediamo la felicità e su quella vogliamo essere rassicurati e non importa quanto dobbiamo aspettare, l’attesa fa parte essa stessa della felicità e, forse, la felicità è proprio l’attesa, un’attesa infinita.
Cielo e mare da sempre uno stretto connubio, un condividere la vita e la morte, un amore reciproco. E non sarebbe tale senza di voi, stelle e tu luna, che trovi qui il tuo specchio più azzurro quando, accesa, te ne vai per i tornanti, e poi su per le colline e ridiscendi lungo la costa a cercare negli anfratti la vita ancora sveglia. Siete uno spettacolo che al tuo cospetto, noi mortali siamo piccoli e insignificanti.
Quando la fantasia mi lascia un piccolo spiraglio e la letteratura non mi incalza come un segugio, sono presa dai ricordi, le volte che sono andata per questo mare passando in rassegna la costa con lo sguardo da naturalista e mi giungono echi di storia con Plinio là sulle coste di Stabia, nel 79 d. C., che muore assistendo all’eruzione del Vesuvio, più avanti lì, tra le bocche di Capri, Ulisse che ancora sento venire fuori dai versi e questo stesso punto oggetto di studio da parte di Stanislao Nievo, pronipote di Ippolito, nel suo romanzo “Il prato in fondo al mare”. Riporta alla luce un fondale ricco di reperti, in un mare profondissimo, che si carica di misteri in cui resta avvolta la morte dello zio. Mentre rievoco posso notare i pescatori che tornano, a sera, con le ceste colme del lavoro di un giorno intero. Hanno fretta di giungere a casa prima di cena per poi uscire per la spiaggia a corteggiare la luna. Magari avranno un segreto da confidarle e tra smerli di fumo, fanno promesse che solo voi potete suggellare. Quanta storia è passata da queste parti e voi lassù che osservate come uscieri a guardia di questo paradiso. “Il paese del sole”, sì, tu stella maggiore, se non fossi con noi, tanta bellezza sarebbe sconosciuta. Forse amate questo luogo più che altrove, posti unici, spiagge silenziose, colori che confondono cielo e mare, che a sera risuonano dei canti di grilli e cicale.
Puntiamo sempre alle stelle per voler essere guidati e voi, con taciti consensi, approvate. Quali giudici più inflessibili avremmo potuto avere, quale guida più vigile attenta se non voi?
Quando di sera, in riva al mare, col fruscio delle onde sul bagnasciuga e la distesa buia davanti, mi lascio illuminare di luce e di pensieri dai grappoli di stelle, sogno di affacciarmi dalla tua finestra, o luna, a guardare quaggiù, e magari scoprire che le nostre pene, viste da lì, siano poi piccole e insignificanti, come a me par di scoprire a guardare te. Ma se proprio ne abbiamo bisogno,vorrei poter contare su Astolfo, come fu per Orlando, e in groppa all’Ippogrifo giungere fino a te a raccogliere il nostro senno. O astri finchè ci siete voi in questo luogo d’incanto, saranno con noi sempre sogni e speranze da coltivare.
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