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mercoledì 4 ottobre 2017

Ubik Vico Equense. Lettera ai cappellani militari. Lettera ai giudici

Sergio Tanzarella, don Mimmo Leonetti e Beatrice Astarita
La lettera di Don Milani, vero manifesto contro l’obbedienza cieca 

Vico Equense - Ieri sera alla libreria Ubik Vico Equense un incontro in compagnia delle lettere meno celebri ma più forti, per i loro contenuti, che don Milani scrisse in occasioni di necessità, secondo gli aspetti morali e spirituali da lui sempre sostenuti: “Lettera ai cappellani militari” e “Lettera ai giudici”. La serata è stata moderata da don Mimmo Leonetti, con l’intervento di Sergio Tanzarella, curatore di questa nuova ristampa che si è fatto carico di contestualizzare i due scritti e di fornire un apparato di note che aiuta il lettore, orientandolo a capire riferimenti e citazioni di avvenimenti della storia italiana con i quali potrebbe non avere familiarità. Inoltre nella postfazione il curatore ricostruisce lo svolgersi del processo, anche grazie alla consultazione di materiali inediti, quali le carte processuali e i carteggi che Milani tenne, tra gli altri, con Aldo Capitini. Letture di Beatrice Astarita. Nel febbraio del 1965 i cappellani militari della Toscana emanano un comunicato stampa accusando i giovani italiani obiettori di coscienza di essere dei vili. In loro difesa interviene don Milani con una lettera aperta agli stessi cappellani, una lettera di altissimo valore morale e civile nella quale chiede rispetto per chi accetta il carcere per l’ideale della nonviolenza. Per questa sua lettera Milani viene denunciato da un gruppo di ex combattenti e messo sotto processo. Impossibilitato a parteciparvi per l’aggravamento del tumore che lo porterà, di lì a poco, alla morte, Milani scriverà una memoria difensiva sotto forma di lettera ai giudici. In essa la storia civile dell’Italia unita viene riletta senza retorica celebrativa come storia feroce di guerre, di spietato colonialismo, di sopraffazione di poveri. La lettera, vero manifesto contro l’obbedienza cieca, metterà anche sotto accusa la illusoria deresponsabilizzazione dell’esecuzione di ordini, anche omicidi, impartiti da una autorità.

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