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martedì 7 novembre 2017

Piove a dirotto

di Filomena Baratto

Vico Equense - Piove a dirotto, la strada davanti casa è trafficata. Stamattina, aprendo la finestra ho visto mezzo arcobaleno attraversare il cielo e mi è sembrato un ottimo auspicio. Ma di lì a qualche minuto è venuto già un rovescio d’acqua che ha fatto perdere ogni speranza se non nel sole almeno in una giornata non piovosa. Ieri sera qui era un fiume in piena: acqua che scendeva giù, auto che, se non frenate bene, scivolavano via con la furia dell’acqua, tombini che saltavano e ruote di auto che ci finivano dentro, ambulanze a sirene spiegate, persone bloccate sui marciapiedi. Adesso il cielo è coperto, il traffico scorre lentissimo e guardo fuori con tristezza. Una volta quando pioveva era un fatto naturale, oggi è una tragedia. Le città si bloccano, la vita rallenta, la natura esplode, gli uomini non sanno come arginare gli effetti di questo disastro. Una volta quando pioveva andavo sotto la pioggia a fare ciac ciac nelle pozzanghere fino a scuola. Mi infangavo le scarpe, ma quel piacere di scherzare con l’acqua non me lo perdevo per niente a mondo, tanto poi l’acqua si asciugava anche se restavo umida fino a casa. Adesso, quando piove, arrivano bombe d’acqua, secchiate a raffica con una traiettoria contorta. E si allaga ogni cosa: scantinati, scuole, ospedali, gallerie, fiumi, anche il mare sale. Mi chiedo se questa sia la stessa pioggia di allora a venire giù o una pioggia di natura diversa.
 
Una pioggia stanca si fare percorsi strani, di cadere in posti non adatti, di vedere gente matta che continua a costruire in posti impensabili, di scoprire che nessuno mai ha dato retta alla natura, che tutti se ne fregano dei corsi d’acqua, degli argini, dei letti di fiumi, delle frane, del fango che scende a valle e delle tragedie annunciate trattate come fossero calamità naturali. L’acqua si è stancata e cade come sempre ma gli uomini sono cambiati. La calamità naturale non dovrebbe esistere là dove l’acqua cade su situazioni che non andavano progettate, non solo, ma coloro che hanno ordito scempi e disastri, pagassero di tasca loro i delitti commessi e le tragedie annunciate. Fino a quando speculiamo e aspettiamo l’acqua per piangere denaro o appicchiamo fuochi per poi portare la terra a queste condizioni, non meritiamo nemmeno di essere ascoltati. Che adesso si incollino i soldi ricevuti alle rocce del Faito o ai fiumi inondati, o al traffico in tilt, all’elettricità che manca, alle frane venute giù, al fango che rotola a valle. Un uomo del Neanderthal ci fa un baffo, questa non è modernità ma solo inciviltà, se non preistoria. Vivere la modernità per pochi giorni all’anno e tutto il resto nel profondo squallore, equivale a vivere una vita disastrosa, che va riprogrammata. Tanto esiste il cemento, la fibra, la benzina, l’elettricità, possiamo comprare tutto e con queste che reputiamo ricchezze vere, facciamo affari. Che affare è costruire case se poi le perdiamo con l’acqua, cadono a valle, se il cemento non è più forte, se l’elettricità non basta più, se l’acqua la sciupiamo, se i boschi li assassiniamo? Non si fanno i soldi sulle tragedie degli altri per non farci mancare mai il lavoro! L’acqua continua a scendere, ma inorridisce perché gli uomini sono cambiati, non usano più gli ombrelli! Prima ce n’erano di tutti i colori e ci piaceva giocare con l’acqua. Ora è una tragedia, quando la pioggia si appoggia al suolo, non trova più la sua strada, tutto è stato contraffatto. Tombini sovraccarichi, strade impermeabili, traffico incontrollato…piove anche nelle gallerie, nelle scuole. Ma se l’uomo fa guerra all’acqua è come fare guerra a se stesso. Noi stessi siamo fatti di acqua e un po’ di fango. Tutto dovrebbe essere progettato in nome dell’acqua e il nostro pianeta è prima di tutto formato da acqua. Chi rispetta il ciclo del’acqua? Sappiamo solo dire che l’acqua ci dà fastidio, che non la sopportiamo, che un cielo grigio e uggioso porta malinconia. Invece il cielo pieno di nuvoloni ci deve ricordare che l’acqua gira dalla terra al cielo e da lì viene giù. Seguiamo la sua rotta e capiremo molte cose della vita, invece di imprecare e specularci su. Un giorno di pioggia ci deve solo portare l’arcobaleno e magari giocare nelle pozzanghere ma non farci finire nella tragedia. Un temporale, un cielo grigio devono essere momenti di poesia. Da noi sono diventati giorni di allerta, allerta continua. Siamo allertati per tutto, non abbiamo più un corso di vita normale, solo allertato. Le ultime trovate per dire che dopo ci vogliono soldi per mettere in ordine, come se l’acqua venisse a fare razzie, e non fossimo anche noi predatori quando al posto delle soluzioni ci culliamo sulle abitudini di stampo economico. Anche l’acqua ha il suo peso economico e ci costa caro, come ogni cosa su questo pianeta. Ma col tempo diventeremo sempre più poveri continuando a speculare e alla fine non potremmo costruire nemmeno l’arca come Noè per sfuggire alla sua furia catastrofica. Siamo diventati più poveri dei nostri antenati. Prima era questione di sopravvivenza, oggi è questione di prepotenza, non si molla niente per il denaro. E se anche costruissimo un’arca, dentro non vorremmo salvare le specie, ma solo i progetti per fare soldi e non perdere anni di lavoro assicurato. Ma come si fa se non potremmo mettere più piede sul pianeta?

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