Vico Equense - 6 metri di libreria, 6 metri di libri stretti, senza nemmeno uno spiraglio d’aria tra l’uno e l’altro! Li guardo e non so da dove cominciare. Reparto narrativa moderna o classici? Atlanti geografici e storici o raccolte e collane? No, meglio dalle enciclopedie. Le scatole sono pronte, infilo i guanti e parto. Toh, il diploma di Laurea, la Tesi, le cartelline ordinate di documenti. No! Più giù sbircio nei classici, comincio da loro. Svuotare questo mausoleo sarà una fatica immane. Raccolgo i Dialoghi di Platone, la storia greca, filosofi, retori, e poi Lettere a Lucilio, un plico che non finisce più, ma anche libri di letteratura romanza, libri di musica, cartelline con lavori svolti, corsi effettuati, quaderni di letteratura. Da ogni libro letto cade un foglio, un fiore, un pennello a mo’ di segnalibro. Apro, leggo qualche pagina, ma il lavoro è lungo e richiudo, non posso perdere tempo. Intanto trovo cose che non vedevo da una vita. Mi commuove ricordare sapere esattamente cosa facevo o pensavo mentre leggevo quei libri. Metrica, prosodia, ricette, volumi di cucina, testi importanti di Pittura, capolavori di Pittori, dizionari di latino, italiano, sinonimi, francese, inglese, greco… Ma da un punto buio dello scaffale fuoriesce la copertina strappata di un vocabolario di latino rappezzato.
Lo tiro fuori e leggo una versione scritta a matita: ecco, la versione a un esame di latino scritto all’Università. La leggo e davanti si apre la scena di quella giornata piovosa e lunga. Nell’atrio persone lì per la quarta volta, io la prima volta in quell’aula immensa. Spaventata a morte raccomando mio padre di non andarsene, non stavo bene per l’ansia accumulata. Guardo gli altri, sembrano quasi indifferenti, forse, penso, sono più preparati di me. Appena arriva la versione provo a tradurla e la scrivo con la matita sulla copertina del vocabolario. In aula massimo silenzio, ricontrollo tutto e non mi sembra vero di aver tradotto così velocemente. Ma non si può comunicare con nessuno, accanto un professore mastino non fa volare una foglia in aula, più in là lo stesso, un altro collega sembra Caronte. Correggo, limo, controllo, cambio vocaboli. Ho finito, ma ho bisogno di condividere. Un ragazzo mi chiede, come ho tradotto un passo, ma come faccio? Il mastino sempre là, Caronte dall’altro e in cattedra sono in quattro con occhi puntati. Appena un ragazzo consegna, passo la notizia, ma il tipo di rimando dice che ho sbagliato. Ricontrollo e sono sicura di quello che ho scritto. Lui mi ribadisce che ho sbagliato. Si gira una ragazza e mi conferma quello che ho scritto io, quanto basta per tranquillizzarmi. Alla fine rigiro la copertina del vocabolario al ragazzo. In caso ci avessero ripreso, poteva sempre dire che era la sua, visto che il suo ne era privo. Ma il ragazzo mi porse di nuovo la copertina mentre io consegnai. Dopo 15 giorni andai a registrare il voto sul libretto, eravamo solo 12 su 60 ad aver superato l’esame. Il ragazzo non ce la fece, aveva scambiato un soggetto per complemento oggetto e non volle ascoltare. Anche gli altri come lui. Cicerone lo aveva fregato. Quella copertina non la posso buttare, c’è la costruzione di un esame. I miei mi dicono di buttare le cose vecchie per fare spazio, ma quella copertina è per me un documento importante. E’ strano come sin dalla prima parola giunga a me quella giornata, quel ricordo. I libri, la mia passione. Li apro e trovo parole sottolineate, capoversi colorati, disegni e poi battute segnate durante le ore di lezione. Quadrifogli per dire che l’interrogazione è andata bene, pollici abbassati in segno di impreparati e scongiuri per non essere chiamati. Ma anche dialoghi per ammazzare il tempo. Quaderni con spiegazioni e ricordi di giornate nere e altre di gioia. Un Conrad che fuoriesce, un Benni che mi fa l’occhiolino dallo scaffale dei piccoli libri. Li amo tutti, Petrarca, Poliziano, il Furioso da un Ariosto trionfante, un’immagine enorme, una Divina Commedia distrutta da cui escono pezzi di Inferno, stralci di Purgatorio e figure dal Paradiso. E come non fermarsi davanti all’’Elogio della Follia di Erasmo da Rotterdam, l’incipit, famoso, corre nella mente…ne hanno fatto anche uno spot pubblicitario e io fluttuo per l’aria. Poi c’è una Tarantella napoletana in musica, un Beethoven che mi vien voglia di provare a pianoforte, ma i miei arrivano col carrello e non ho sistemato nemmeno una scatola. Devo correre, sbrigarmi…e come se stesse origliando Milan Kundera mi dice di andare piano dalle pagine de La lentezza, fuoriuscendo dal piano con Pessoa. E poi I quaderni Serafino Gubbio operatore, di Pirandello, Kafka, Pascal, Patrarca e Boccaccio…Giambattista Basile con Lo cunto de li cunti, ma anche un Lutero, Riforma e Contrariforma, libri di storia, guerre mondiali, glottologia, retorica, italianistica…poi la poesia…Leggo versi di Leopardi, altri di Manzoni, Rebora, Penna, Montale, Ungaretti, Saba…Ognuno una storia con me. In questa libreria l’anima vola. Mi arrabbio quando mi dicono di mettere i libri così come viene tanto bisogna ordinare dopo. Come faccio a mettere Seneca e Benni, Gadda e Virgilio, Lucrezio e il Belli? Devono andare con i loro simili, la loro epoca, e controllo per sezioni. Penso che Internet non sotterrerà mai il libro, rappresenta una delle migliori relazioni d’amore, senza fine. La sicurezza ce la fornisce un libro, Wikipedia nel suo sapere universale non è così affidabile come il libro.
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