di Filomena Baratto
Vico Equense - I casali di Vico, in questi giorni, offrono momenti della tradizione natalizia. Tra questi San Salvatore, piccolo borgo sulle colline, subito dopo Sant’Andrea. In piazza risalta la chiesa col suo colore paglino che, quando incontra i raggi del sole al tramonto, acquista una luce particolare. Per chi sale da Piana di Semmana se la trova di fronte, caratteristica, luminosa. Ogni volta che arrivo davanti al sagrato, ricordo la mia Prima Comunione, lì sulle scale col mio abitino bianco e i fiori in mano e il sole nella mia direzione. Ma vedo anche la bambina vestita da pacchianella, che pur di non mancare alla processione, sfidò la febbre. La foto, lì sulle scale con una compagna, mi riprende seminascosta da un foulard che mi cadeva sugli occhi lucidi. La mia febbre invogliò qualcuno a fotografarmi e ora quella foto fa capolino dal mobile del soggiorno. A volte penso che non saremmo quello che siamo se il territorio non avesse impresso in noi una sorta di matrice, un’orma sin dentro il nostro Dna. San Salvatore racchiude la mia storia, rappresenta il punto da cui sono partita, dove sono cresciuta. Conosco ogni stradina, ogni sentiero di questo luogo affascinante, posto sulla collina. Non si troverà mai un luogo più suggestivo di quello dove siamo cresciuti. Tutto sembra unico: il panorama, le stradine strette, i tornanti, i muri che costeggiano i viottoli, i noci, i prati, la piazza, gli scorci particolari. La chiesa è su via Botteghelle, strada che attraversa il paesello fino a Massaquano e lungo il tratto “le botteghe” di sempre, che da una vita sono sempre lì con la stessa mercanzia e non subiscono il fascino del nuovo, non ne hanno bisogno.
Qui la gente è legata alla propria identità che affonda le sue radici, alle cose che il tempo lascia intatte.
C’è un senso di eternità, pur cambiando le generazioni, c’è un ritmo sempre uguale. Le stradine non impediscono ai mezzi di sfrecciare, tutti piccoli, a misura di strada, e hanno preso il posto dei tre ruote di una volta. Per i viottoli, che vanno su e giù, l’eco dei nostri passi, silenzi interrotti da versi di animali, motori e suoni. E’ un riappropriarsi di movimenti e pensieri che si perdono nei ritmi frenetici delle città. Un borgo di case nuove e antiche, di alberi e pezze erbose, di negozi che stanno lì da una vita. Le salumerie, l’una di fronte all’altra, il negozio di scarpe di “Marittiello”, fatte a mano per potersi riparare, allargare, stringere, prendere una forma comoda. Ricordo le sue belle scarpe anni sessanta, con i fiocchetti, tacchi bassi o medi, alla Jackie, o alla Audrey e lui dietro la vetrina, lo vedevo sempre quando passavo di lì e sbirciavo dentro affascinata dall’odore del cuoio e dalle scarpe nuove in fila. Più avanti il mitico “Papeluccio”, un emporio che ancora oggi è intatto come allora e credo non se ne trovi in nessun altro luogo. Lo ricordo nel suo sorriso sempre ampio, cortese, ottima loquela, capace di ipnotizzarti con i suoi occhi azzurri a cui seguiva una professionalità nei gesti, nel porgerti le cose, nel consigliarti, nel partecipare alle tue richieste. Che cosa non trovi lì dentro! Quale rara cosa vai cercando? La trovi lì, tutto c’è, anche l’impossibile. E’ un piacere inoltrarsi all’interno, sembra il pozzo di San Patrizio, soprattutto ti meravigli di quello che cerchi ma non vedi e poi ti arriva dal retrobottega come per magia. Un tempo era per me una tappa obbligata, io ero targata Emporio Ferrara, dal vestito, al cappotto, alle scarpe. Ricordo ancora il mio cappottino verde, un vero gioiellino, che quando ho smesso, perché ero cresciuta troppo, l’ho lasciato nell’armadio per poterlo vedere sempre lì, come un compagno, una persona, o forse una parte di me. Lì compravo i miei pastelli Giotto, i miei album, le mie penne, il mio primo cestino per la scuola materna e anche la cartella per la prima, le stringhe, le scarpe da ginnastica, le scodelle… Chiunque, passando di lì, ha bisogno di qualcosa: dei tappi, delle sigarette, dei piatti, dei bottoni, dei quaderni, e così ti trovi catapultato dentro. Questa strada ha un bel muro alto di contenimento, andando verso la chiesa porta a Caporivo, dall’altro lato va verso Massaquano. A Caporivo, nel muro c’è un tabernacolo con la Madonna, dove io passando facevo sempre il segno della croce e prima ancora uscivano le mie zie con le cugine a scambiare qualche veloce saluto. San Salvatore di questi giorni sembra Betlemme con le sue luci per la festa, i suoi presepi, i pastori veri, i profumi dei dolci natalizi, i preparativi per l’approssimarsi dell’Immacolata e del Santo Natale. Qui i suoni inconfondibili degli zampognari, delle canzoni della liturgia, dei ricami delle luminarie. Gesti che si ripetono di padre in figlio, che si trasmettono nella loro semplicità. Natale qui è più raccolto, con tradizioni di arte culinaria, dei tipici prodotti caseari, delle provviste messe in cantina in attesa di essere consumate a Natale. Qui siamo nel regno dei profumi di tutti i tipi, dall’erba ai liquori, dai frutti ai sughi, dalle provviste alle muffe. E’ tutto un fermento ovunque, ci si passa la voce di quello che si fa, di quello che si sta preparando… Gli odori invadono la piazza come un incrocio di venti e non sai se pravale di più il profumo di pizza di Gighetto, o del latte in lavorazione per i caciocavalli, se sono più le foglie di noci o di finocchietto, dell’olio che sparge i suoi primi fritti o il miele cosparso sui dolci, dell’anice col caffè o il profumo di dolci di pasticceria che arriva dalla strada. Un vortice che ci prende completamente, nel silenzio dei mattini o delle sere, dei pomeriggi freddi o assolati tra le risate dei ragazzi che giocano all’aperto. Qui si allena l’olfatto, qui si studia l’odore, lo si affina, lo si educa. Olfatto e gusto sono i due sensi maggiormente sviluppati, caratteristica questa di cui sono forniti i nostri chef. Qui il presepe è vita con i suoi ritmi legati al lavoro più che mai, scanditi dalle feste come momenti comunitari. Luogo dove trovi tanta pace ma anche allegria, dove l’aria ha il suo effetto benefico, dove il passato vive col presente. San Salvatore un borgo che, se ci sei nato, non lo dimentichi più e se lo visiti non puoi non ritornarci.
San Salvatore - Il borgo aggrappato/ai fianchi allargati/ del monte a metà strada/ tra Vico e Faito./ La via, che sale da Piana di Semmana,/ mostra la chiesa del Salvatore./Ai suoi piedi i piccioni/ingordi di mais e riso/ di spose bambine./ E’ nuovo l’ulivo/ della piccola piazza/ là dove una volta/ si camminava a frotte./ Ora, girando attorno all’albero,/ si vede il tabernacolo della Madonna/ a Caporivo./ Case e cancelli/ si adagiano mollemente/ lungo la stradina di campagna./ I noci si perdono a vista/ e sotto il ricco fogliame/ si nascondono ville e casali/ come donne civettuole/ scherzano a scoprirsi./ Sale il profumo del latte appena munto/ e del letame nella vigna./ Scorgi su due ruote il pizzaiolo/ che trasporta il pane lievitato./ Lontano i rombi dei motori/ dalla via principale/ si confondono/ agli aratri in mezzo ai campi./Il contadino si attarda nella via,/ deve ripulirla dalle ortiche e la gramigna:/è un dovere per la processione/ del Santissimo Salvatore. (da Ritorno nei prati di Avigliano, 2010).
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