50 chef stellati, invitati da Gennaro Esposito, offriranno una cena da
sogno
di Salvatore Ferraro
Vico Equense - Sono trascorsi 50 anni (dal febbraio 1968) da quando furono inaugurati a Vico Equense, in Via Nicotera, gli
imponenti e moderni locali, in cui Luigi (Gigino) Dell’Amura ed i suoi sette figli (Antonio, Francesco, Carlo,
Giulio, Rosa, Mario e Lucia) avrebbero continuato a svolgere con intraprendenza, laboriosità e fantasia
un’attività, che era iniziata alla fine del 1800 nei modesti locali di Via S. Sofia.
Data la mia età (sono nato nel 1937) e vissuto sino al 1967 in Via Roma, mi è grato ricordare che lungo
questa via esistevano le panetterie di Alberto Astarita (e donna Giulia), dei Gargiulo e di Antonio Dell’Amura,
che aveva sposato Rosa Caccioppoli nel 1894, da cui erano nati cinque figli (Giuseppe, Fortuna, Annunziata,
Ciro e Luigi). Sarà proprio Luigi Dell’Amura (detto Gigino) che si impegnerà con i suoi genitori in un piccolo
forno rilevato da un originario proprietario immigrato, esistente nel fabbricato dei De Gennaro, ubicato tra
Via S.Sofia e Via Roma.
Gigino, nato nel 1903 da una famiglia dedita alla confezione di pane e biscotti, si sposò nel 1933 con
Concetta Cilento e per oltre 40 anni si dedicò con i figli(specialmente con Antonio, recentemente
scomparso) all’attività della panificazione e della ristorazione nel giardino annesso, ora diventato una piazza.
Gigino da piccolo aveva fatto esperienze profonde ed acquisito speciali conoscenze sulle farine, sull’impasto
per pane e biscotti e sul modo di confezionare una modesta e saporita pizza.
A 13 anni, ricorda suo figlio Francesco, aveva già responsabilità nel piccolo panificio artigianale di suo
padre, lavorava notte e giorno con gli operai, operaio tra gli operai, mangiava con essi, dormiva dove
capitava (su panche o su sacchi di farina). Uomo schivo, privo di presunzione, sempre seduto a cavalcioni
fuori dal suo locale nei brevi momenti di relax, accompagnato sempre dal suo fedele cane, era di
corporatura alta, robusta, pieno di vigore, abbronzato dal fuoco; le sue mani erano ampie, grosse, pesanti,
atte a lavorare l’impasto a lungo e con arte(ricorda l’avvocato Francesco in una poesia: Cento anni sono
già/dei tuoi giorni/lunghi ed antichi/condotti tra impasti/di acqua e farina/per chi povero/pane non
ebbe/per infame destino.). Gigino, lo ricordo bene, espletava con velocità qualunque lavoro, una nuvola di
farina imbiancava spesso se stesso ed i suoi operai, con i vari ritagli sopravanzati dopo la cottura del pane da
distribuire ai vicani o forestieri preparava una lunga pizza, che veniva tagliata in vari pezzi e distribuita agli
operai ed agli avventori. Un prodotto umile, semplice, artigianale, diventerà a sua insaputa un capolavoro di
arte culinaria, diffuso in Penisola Sorrentina in Italia e nel mondo.
Il suo locale incominciò ad essere frequentato non solo dai locali, ma anche dai primi turisti e dalle
personalità che sostavano al castello Giusso o erano di passaggio. Carlo Zecchi, famoso musicista, gli dedicò
una foto con dedica: “A Gigino Dell’Amura, per le pizze insuperabili e sovraumane, delizia dello stomaco,
dell’odorato e della vista”. In fondo la pizza, ormai famosa nel mondo era formata da semplici elementi:
acqua, farina, olio, pomodori e basilico. Gigino forniva a tutti pizze, tagliatelle, gnocchi, pasta, zucchero,
carbonelle, era sempre disponibile notte e giorno, dava il pane a tutti, spesso senza ricevere soldi (allora
durante la guerra, si riscuoteva a distanza, ogni famiglia aveva un libretto in cui il venditore annotava la
spesa effettuata).
La pizza spesso veniva preparata all’aperto, lungo Via Roma, all’incrocio tra S.Sofia e Via Roma, dove ora si
trova il locale del barbiere Esposito. Su un lungo tavolo di legno erano situati i vari ingredienti ed Antonio, il
figlio maggiore, procedeva a stendere l’impasto e ad arricchirlo. Davanti ai passanti ed ai turisti attenti
Antonio ed i suoi fratelli facevano volteggiare più volte in alto, tra una nuvola di farina, la lunga pizza, che
scivolava ben presto nel forno retrostante che già rosseggiava. La “pizza a metro” ormai si era imposta
all’attenzione generale, aveva superato la prova definitiva e ben presto, su consiglio di giornalisti e di turisti
italiani e stranieri, che negli anni Sessanta si diffondevano per Vico Equense e la Penisola Sorrentina, la
famiglia Dell’Amura ottenne dal Ministero dell’Industria e del Commercio il brevetto per il marchio
d’impresa (Pizze a metro), rilasciato il 19 Dicembre 1960, cercando in tal modo di opporsi a tutti coloro che
invano ma astutamente cercavano di contrastare l’invenzione di Gigino Dell’Amura.
Qualcuno si domanderà come sia nata quest’espressione “pizza a metro”, ormai nota in tutto il mondo.
Carlo Infusino, un giornalista del “Corriere di Napoli”, ha ricordato in un articolo del 1971 ( Un vestito di...
pizza ) che Antonio Dell’Amura gli raccontava che il tutto era avvenuto per caso una sera di primavera per
merito di due stranieri rimasti sconosciuti. Si erano seduti ad un tavolo del ristorante ed al cameriere che
chiedeva che cosa desiderassero mangiare avevano chiesto la pizza. I due tedeschi in un italiano
approssimato precisarono di volerne trenta centimetri ognuno, facendosi una bella risata. Il cameriere,
sorpreso da tale richiesta, la riferì ad Antonio, che ben presto si apprestò a preparare la pizza, misurandola
con il metro.
Era nata così, venti anni prima (nel 1950) la “pizza a metro”, che veniva tagliata in vari pezzi e gustata. Gli
ingredienti per molti anni furono quelli tradizionali, ora la pizza viene effettuata in molti modi: con salsiccia,
con champignon, con pomodorini, con prosciutto, con crocchette, con porcini... . Ma la pizza più famosa e
prelibata rimane sempre quella “classica” elaborata dalla famiglia Dell’Amura, che ha il merito per questi
ultimi 50 anni di averla difesa e propagandata.
Nel 1968 i fratelli Dell’Amura lasciavano i vecchi e modesti locali di Via S.Sofia e si trasferivano in Via
Nicotera in una modernissima struttura, realizzata, su progetto dell’arch. Giorgio Scialdone, dall’ing. Bruno
Astarita di Sorrento e dall’imprenditore Francesco Pane di Piano di Sorrento.
A distanza di 50 anni si può dire che il progettista con grande professionalità, originalità e lungimiranza
seppe prevedere ed interpretare il futuro della Pizza a Metro . La struttura, diretta oggi da Giovanni Rivieccio
e dai fratelli Dell’Amura (sono scomparsi recentemente Antonio e Giulio), è in grado di ospitare 1600
persone tra il piano terra ed il primo piano, avvalendosi di circa 80 collaboratori. La realizzazione delle pizze,
infornate in 4 forni a legna, e la cottura dei cibi avvengono in due ampi ambienti a vista d’uomo e protetti da
vetrate, che permettono ad ogni visitatore o avventore di rendersi conto di ogni operazione culinaria, con
grande interesse, sorpresa e attenzione. Un giardino all’aperto, una sala per cibi da asporto ed un ampio
parcheggio rendono la sosta piacevole e gradita in questi locali ampiamente luminosi e confortevoli, tali da
offrire i cibi più vari a singoli avventori, a convegnisti e a famiglie.
Durante la costruzione di questo imponente edificio (definito la “cattedrale della pizza a metro”) tra
maggio e giugno 1966 si procedette ad uno scavo archeologico, il più importante di tutta la Penisola
Sorrentina. Nel corso dei secoli passati erano avvenuti proprio lungo Via Nicotera interessanti rinvenimenti (
per lo più di singole tombe o iscrizioni sepolcrali) e solo pochi reperti furono acquisiti dallo Stato ed
entrarono nel Museo Archeologico di Napoli: altri oggetti (per lo più magnifici vasi attici) furono venduti
all’estero. Allora avevo circa 30 anni ed insegnavo lettere classiche nei licei; da anni sorvegliavo le nuove
costruzioni di Vico Equense quale Ispettore onorario per la conservazione dei monumenti e degli oggetti di
antichità e d’arte per la provincia di Napoli. Attendevo con impazienza lo scavo in questo ampio giardino
della famiglia De Gennaro, acquistato dai Dell’Amura, e pertanto sorvegliavo i lavori. Con la collaborazione
della Sopraintendenza alle Antichità di Napoli, in special modo di Alfonso De Franciscis e di altri esperti
(anche degli studenti e dei cittadini), si scoprirono nell’area 134 tombe con circa 573 oggetti (dal VII sec. a.C
sino all’età romana ), che testimoniavano il ricco patrimonio archeologico di Vico Equense, ormai noto in
tutto il mondo scientifico.
Domenica prossima, 3 giugno 2018, alle ore 19, grazie all’intraprendenza ed alla competenza dello chef
Gennaro Esposito si festeggeranno i 50 anni (1968-2018) dei nuovi locali della “Pizza a Metro” e saliranno in
cattedra circa 50 chef stellati, che si sfideranno a colpi di alta cucina, dividendosi in “brigate” per dare vita
ad una vera e propria “lezione magistrale” che gli ospiti difficilmente dimenticheranno. Sono disponibili 250 posti con una donazione minima di 150 euro, che saranno destinati alle associazioni onlus. Inoltre, alla fine
di giugno sarà collocato all’esterno della pizzeria un busto in bronzo di Luigi Dell’Amura, inventore della
“Pizza a Metro”, uomo laborioso, che seppe agire, come è stato ricordato, “con fede, amore, acqua e farina”.
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