di Filomena Baratto
Vico Equense - Ci sono romanzi che andrebbero letti e a volte riletti. Uno di questi è I vecchi e i giovani di Luigi Pirandello. Un romanzo storico nella struttura, forma e intenzioni che si ridimensiona poi in un romanzo autobiografico. Viene pubblicato nel 1913. A capo del Governo vi era Giolitti, dal 1906 al 1921. La politica giolittiana favorì le industrie del Nord lasciando il Sud in un sottosviluppo evidente, anche dopo le inchieste condotte sin dal 1876 da Franchetti e Sonnino e a continuare da Giustino Fortunato, tra il 1904 e il 1912, in cui si denunciava la necessità di un’azione incisiva nell’Italia Meridionale, che versava in condizioni critiche per le terre da bonificare e per l’anafalbetismo. L’unica azione positiva di questo periodo per il Meridione fu la costruzione dell’acquedotto pugliese nel 1906. Il romanzo venne alla luce in un periodo storico che risentiva ancora dei colpi di coda del Risorgimento. Fu uno dei migliori romanzi di Pirandello come affermò Benedetto Croce, ma sicuramente poco conosciuto e per certi versi ritenuto anche troppo ricco di personaggi e fatti che ne rallentavano la spedita lettura. E’ la descrizione di un’Italia post risorgimentale dove gli ideali si erano appassiti per l’incapacità di adattare l’impegno preso alla realtà. E’ la storia di una delusione, di una politica che non aveva saputo tradurre quanto aveva teorizzato precedentemente, e di come l’Unità aveva ridotto lo Stato.
A questo si opponeva una classe politica emergente chiassosa e incapace con la voglia di arginare tutto quel mondo antico che stava crollando, sgretolandosi sotto i colpi di una borghesia che lottava duramente per mantenere i privilegi e di un’altra che si faceva avanti senza alcun progetto per il futuro. I vecchi e appunto i giovani in un contrasto irrisolvibile dove i primi non sapevano più reagire e gli altri, inesperti, non avevano i mezzi per far fronte al caos che incombeva.
L’azione si svolge a Girgenti con le elezioni politiche del 1892 e si conclude con lo scandalo della Banca Romana del 1894 e la sconfitta dei Fasci Siciliani, un movimento di operai, contadini, braccianti e mezzadri colpiti da una crisi dovuta all’aumento delle tariffe. Si narra la storia della famiglia Laurentano, espressione di stampo risorgimentale, attorno alla quale gira una pletora di personaggi che si muove in virtù dei propri interessi. E’ la storia di tre fallimenti: quello risorgimentale, dell’Unità e del Socialismo. Secondo lo storico Giuseppe Giarrizzo la Sicilia aveva la pretesa di essere “un’esperienza storica speciale” con la conseguente costruzione di un’ideologia. E così Donna Caterina rivolta al figlio Roberto dice:”Povera Sicilia trattata come una terra di conquista! poveri isolani trattati come barbari da incivilire. Ed erano calati i Continentali a incivilirli”. Il Risorgimento non c’era stato per quelle fasce che ora andavano sollevandosi contro lo Stato. E larga parte, a questo punto, è data alla mafia che si avoca il diritto di sopperire alla mancanza dello Stato nell’isola. La si avverte nel clientelismo, negli scambi di favori, come afferma il personaggio Costa:” Bisogna viverci in mezzo la politica, signor mio, che cos’è in gran parte? giuoco di promesse, via!” E ancora :”Per combattere il Regno della Mafia è necessario e indispensabile che il governo italiano cessi di essere il Re della Mafia!” Il contrasto tra passato e presente si avverte in tutto il romanzo fino alla fine: “ Che ne sanno, di cos’era prima l’Italia? Hanno trovato la tavola apparecchiata, la pappa scodellata, e ora ci sputano sopra, capite?” dice Mauro Mortara riferendosi ai giovani. E ancora Don Salvo afferma:”Invecchio, sì; perdo il gusto di comandare. Me lo fa perdere la servilità che scopro in tutti. Uomini, vorrei, uomini! Mi vedo attorno automi, fantocci!” E’ l’affresco di un’epoca, la descrizione di un mondo che cambia avvertendone i passaggi, con personaggi che affollano e accalcano la scena come attori che cercano luce. Due generazioni a confronto, dove l’una non sa porsi nei panni dell’altra. La preoccupazione è per il vecchio che non vada perduto e il nuovo che abbia davanti una strada percorribile. Non mancano descrizioni di una terra, la Sicilia, che diventa personaggio principale: La vigna era stata vendemmiata. Tutti i pampini ormai erano ingialliti; s’accartocciavano aridi; cadevano; i tralci nudi si storcevano nella nebbia autunnale, come chi si stiri in un lungo e sordo spasimo di noia; nella grigia distesa dei campi, tra la caligine umida, non rimaneva più altro che un accennar muto e lieve e lento di palmiti vagabondi!”. La delusione principale che si avverte nel romanzo è la contraddizione esistente tra idea e azione. Per i vecchi si vanno stemperando le tensioni che li avevano animati negli anni delle lotte unitarie, accettando la mediocrità di una società e la sottomissione a un mondo continentale con chiara denuncia alla politica giolittiana. Per converso ai giovani vengono meno i modelli da seguire. E languiscono privi di ideali e di strade da intraprendere. E’ come se la società si fosse fermata a un bivio e poi fosse andata avanti per inerzia, senza possibilità di scelta.
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