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lunedì 16 settembre 2019

Leggendo Cechov

Anton Cechov
di Filomena Baratto 

Anton Cechov è il maestro del racconto. La sua prosa è asciutta, con parole precise, concetti affilati e senza un punto di vista o morale, come rilevava lo stesso Tolstoj. La narrativa russa ha una forza incredibile, trascina il lettore esattamente in quello che sta raccontando, ponendolo nello stesso stato d’animo, facendogli vivere storie lontane nello spazio e nel tempo come vicine. Quello che è stato imputato a Cechov come difetto dei racconti, diventa invece un pregio. I suoi racconti sono di una tale precisione e onestà intellettuale, che sarà il lettore ad aggiungere la sua soggettività. Ognuno legge in chiave personale, come se l’autore lasciasse di proposito il lettore a trarne le sue conclusioni. Ogni racconto ha una forza di un romanzo. Un affascinante affresco dell’epoca, della Russia, dei tipi che s'incontrano ogni giorno, che restano scolpiti in mente come dei modelli. I personaggi diventano eroi nella loro quotidianità. Nel racconto Una vita noiosa, per esempio, si narra del professor Nikolaj Stepanyc. Ci s'inoltra nella lettura con curiosità e dalle pagine emana una freschezza come se da quella che si va leggendo ne dovesse uscire qualcosa di esemplare. Si aspetta così il momento cruciale, che di fatto non giunge mai, ponendo il lettore in uno stato d’attesa e alla fine trovare considerazioni diverse da quelle che si profilavano all’inizio. Ogni rigo porta i suoi semi, lascia i suoi interrogativi. Il professore è un uomo di sessantadue anni, calvo, con la dentiera, laborioso e perseverante come un cammello, che ha un grosso problema: quello di soffrire di insonnia.
 
Pur essendo professore emerito, vive quasi nell’indigenza per regalare ai figli un alto tenore di vita, così come gli altri immaginano debba avere. E questo lo fa soffrire: vorrebbe che i figli gli proponessero di non dare loro quegli agi essendo in ristrettezze. Aspetto che gli viene ricordato costantemente dalla moglie Varja, che goffa e monotona, ogni mattina gli sfila la cantilena. Il professore stenta a riconoscere in quella donna la sua Varja che ha tanto amato e che pur rappresenta un punto fermo della sua vita. Molto interessanti le parti in cui descrive la sua attività di docente, medico qual è, e parla dei suoi studenti. Afferma che un insegnante deve sostenere un triplice ruolo quando si presenta a un uditorio: quello di pedagogo, studioso e oratore, usare un linguaggio corretto, espressioni brevi e precise, frasi semplici, e tutto in un orario prestabilito. Insegnare è una passione. Da medico crede che la scienza sia la cosa più necessaria all’uomo. Una debolezza questo suo pensiero che, unito all’insonnia, rappresentano le due cose per le quali combatte. Continua con la differenza tra studenti fannulloni e quelli che superano gli esami, e poi ancora dei benefici della sconfitta e del significato di tesi, un lavoro basato su una ricerca originale cui lo studente si dedica in completa libertà. Altra debolezza di quest’uomo sono i ricordi e, guardando indietro, il professore si rende conto d’aver costruito la sua vita con un grande talento e si preoccupa di finirla allo stesso modo. Un racconto interessante che mal si coniuga col titolo di storia noiosa. Ad ogni rigo nasce l’esigenza di sottolineare concetti mai sentiti prima, accostamenti mai fatti e situazioni così normali che assurgono a fatti speciali. Cechov non è mai banale, conduce per strade ben definite non lasciandoti mai da solo. “Quando all’uomo manca un centro, più forte e nobile di tutte le influenze esterne, allora gli basta davvero un semplice raffreddore per perdere il suo equilibrio, vedere in ogni uccello una civetta, in ogni rumore un ululato di un cane. E tutto il suo pessimismo o ottimismo, grandi o piccoli pensieri, tutto si riduce a un sintomo e nulla più. Il racconto termina con la consapevolezza di aver trovato l’essenza della sua vita che i filosofi chiamano idea guida, alla fine del suo percorso. E per conoscerla bisogna scandagliarla fino in fondo e scoprire la sua sincerità, onestà e che la letteratura non può essere altrimenti: la menzogna non fa parte della sua scrittura. Cechov è attratto dall’animo umano e ne descrive i suoi movimenti in storie senza trama e senza epilogo. Basta osservare la realtà per scrivere, ma sempre con frasi semplici e chiare. Non gli piacciono le parole altisonanti, un riflettere troppo sulla lingua. Essa deve rispecchiare gli stati d’animo senza affettazione né troppe limature. L’onestà deriva da quello che si pensa senza censurare il pensiero per adattarlo a una forma convenzionale. Questo assicura l’originalità e la verità della scrittura. D’altra parte scrivere è rilevare, tutto il resto appesantisce.

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