di Filomena Baratto
In letteratura il topos dell’epidemia è ricorrente. Rappresenta la limitazione umana in ogni ambito: scientifico, morale, spirituale. L’epidemia di peste nei Promessi Sposi di Alessandro Manzoni, descritta a cominciare dal XXXI capitolo, è rimasta nel nostro immaginario. Se la mente ripesca questo momento letterario è per affinità di situazioni con quanto accade oggi, ma cambiano le condizioni. Allora il contagio avvenne in seguito al passaggio delle truppe dei Lanzichenecchi nella pianura Padana, oggi che conosciamo i virus da vicino e ci lavoriamo in laboratorio e abbiamo abbattuto le distanze, questi si propagano in modi anche più rapidi. Manzoni scrive la storia nel 1823 (3 le edizioni: 1823, 1827, 1840), ma è ambientata nel ‘600, periodo di guerre e pestilenze con conseguente carestia del 1630. All’inizio non si capiva il motivo di quelle morti. Il sospetto che ci fossero untori cominciò a circolare ben presto, facendo di questo vocabolo qualcosa di molto temuto. Lo si vedeva nel vecchio in chiesa che passava la mano sul banco prima di sedersi o nei tre turisti che, accostatisi al duomo, furono accerchiati e malmenati, poi portati al palazzo di giustizia, ma lì rilasciati. Gli untori erano lo spettro anche delle campagne: tutti quelli che agivano in modo strano, con qualche segno o atteggiamento fuori luogo, venivano presi per responsabili del contagio. Dopo la processione a San Carlo, i morti crebbero: anche i santi non avevano abbastanza mezzi per contrastare l’epidemia.
Il Manzoni afferma che ogni giorno bisognava sostituire, aumentare i serventi pubblici di varie specie: monatti, apparitori e commissari. I monatti erano addetti a prelevare i cadaveri dalle case e dalle strade e dare loro sepoltura. Il nome dal greco monos,(unico) dal latino monere ( ammonire, avvertire), erano chiamati di volta in volta, forse con contratto breve e ce lo fa credere la probabilità che possa derivare anche dal tedesco monathlich, con valore di mese in mese. Si fecero costruire in fretta capanne di legno all’interno del lazzaretto per accogliere i malati ogni giorno. Ma a questa continua organizzazione da un lato accadde, come afferma il Manzoni, che “i mezzi, le persone, il coraggio diminuivano di mano in mano che il bisogno cresceva”. Si legge anche che gli apparitori, muniti di campanellini che avvisavano dell’arrivo del carro e i monatti “lasciassero cadere dal carro robe infette, per propagare e mantenere la pestilenza, divenuta per essi un’entrata, un regno, una festa”. Qualcosa di più brutto e più funesto il sospetto per tutti e tutto. “La vastità immaginata, la stranezza della trama turbavan tutti i giudizi, alteravan tutte le ragioni della fiducia reciproca”. I dotti vedevano invece segni nefasti in una cometa apparsa nel 1628, in una congiunzione di Saturno con Giove. La peste nel Manzoni porta scompiglio e diventa riequilibratrice sociale. I potenti perdono forza, il popolo sopravvive abituato da sempre alla sofferenza e alle privazioni. Oggi come allora l’epidemia ci pone allo scoperto. Mette in mostra le nostre miserie, le nostre incapacità di fronte al sovrumano, svela la nostra fragilità, siamo tutti prede di situazioni più grandi di noi. Josè Saramago, nel suo romanzo Cecità, afferma che “in
un’epidemia non ci sono colpevoli, ci sono soltanto vittime” e diventando tali scopriamo di avere stessi bisogni e necessità. E nella sofferenza manifestiamo la paura che a volte si trasforma in usurpazione e profitto. Un’epidemia scuote la società dalle sue certezze, rifà i conti, azzera le mete raggiunte. Dal caos un nuovo ordine. E’ difficile credere alla diffusione di un’epidemia oggi: l’era delle vaccinazioni, dei protocolli ad hoc per ogni malattia. E proprio quando crediamo di avere in mano la possibilità di sconfiggere ogni morbo, un ignoto virus sopraggiunge a seminare il panico. E se Manzoni lascia grande azione alla Provvidenza, che ottempera ad ogni bisogno e necessità, oggi ci affidiamo al Divino rispolverando una fede che nel tempo ha arrugginito i cardini. Un’epidemia rimescola valori e situazioni colpendo il centro della nostra vita. Ed è lecito pensare che un virus possa diventare un’arma “naturale” per destabilizzarci e abbassare le nostre difese fisiche e mentali riducendo consumi ma anche velleità, ambizioni, progetti, sogni. Si ridimensiona il futuro e c’è un bisogno di semplicità, di concretezza. Nella paura aumentano nuovi consumi, ci sono rinascite insperate, travolgimenti economici e di mercato. Nei Promessi Sposi l’epidemia mette Renzo in viaggio per la regione alla ricerca di Lucia. Un passaggio necessario nel contagio come un processo di ricognizione e rivisitazione di se stesso e degli altri. Si sovvertono priorità e finalità e allora come oggi gli esiti sono gli stessi. Nel romanzo manzoniano il mondo era ancora paese, non come oggi un luogo dove tutto avviene in tempo reale. Questo lascia intravedere le trame, i passi, le falle, i vuoti. Oggi si percepiscono gli untori, i monatti, gli apparitori e i commissari. Hanno le sembianze di scenari politici, conti bancari, sciacallaggi, scialacquatori, guadagni, perdite, sconti. Nel 1660 si scrutavano i segni nel passaggio delle comete, oggi si scruta tutto dall’occhio del mondo globale, dal grande fratello che ha in mano le nostre vite. Lì la peste salva Renzo e Lucia, che finalmente trovano pace. Gli untori, accusati dalla superstizione popolare, subirono un supplizio che Manzoni descrisse Nella storia della colonna infame, un’appendice aggiunta alla prima redazione del romanzo Renzo e Lucia e non pubblicata, poiché avrebbe distolto i lettori dal percorso della storia principale. Gli untori erano necessari per trovare capri espiatori. Il Manzoni si rivolge all’atteggiamento poco idoneo dei giudici in situazioni tanto gravi. Ma oggi un’epidemia è una fatalità, lo scotto del progresso, della scienza che avanza e deve fare la sua parte. E’ un’arma letale capace di ridurre popolazioni in modo scientifico e chirurgico. E all’epidemia si sopravvive anche leggendo come accade nel Decamerone di Boccaccio. La cornice è data da una brigata di 10 ragazzi, 3 giovani e 7 fanciulle, che si incontrano in Santa Maria Novella durante la peste a Firenze nel 1348 e decisero di ritirarsi in una casa sulle colline a raccontare novelle in attesa che l’epidemia si attenuasse. Qui trascorrono dieci giorni a raccontare la vita, l’umanità, la mondanità dell’uomo di cui Boccaccio parla ampiamente, opponendosi a quel sacro che aveva imperato in tutto il medioevo. La serietà della materia trattata è data proprio dalla descrizione del contagio. E di peste Virgilio nel terzo libro delle georgiche descrive la peste del Norico (attuale Austria)nei versi 470- 566:
Qui un tempo per infezione del cielo sorse una miseranda stagione, e arse per tutto il calore dell’autunno, e diede a morte ogni specie di animali e di fiere, inquinò i laghi, fece imputridire i pascoli. Non era semplice la via della morte; ma quasi un’ardente sete penetrata in tutte le vene aveva contratto i miseri arti, di contro abbondava a fiotti un sudore e a gradi assorbiva in sé le membra disfatte dal morbo. Spesso in un rito per gli dèi, stando nel mezzo la vittima presso l’ara, mentre la benda di lana viene cinta al niveo nastro, cadde morente fra l’esitare dei celebranti, o se altra ne aveva abbattuta prima il sacerdote, non ne ardevano le fibre poste sui sacri altari.
Una peste insolita è quella di Cecità, romanzo di Josè Saramago del 1947, dove l’epidemia contagia gli occhi. La perdita della vista fa sprofondare nella cattiveria lasciando solo un istinto di sopravvivenza. L’uomo, secondo l’autore, sembra fatto di indifferenza ed egoismo. Ma eloquente per titolo e descrizione la Peste di Albert Camus, romanzo del 1947 dai risvolti tragici. Qui un’invasione di ratti porta un’epidemia di peste. E in questo evento si analizza il male, i rapporti, le attese, i risvolti della vita: Il microbo è cosa naturale, il resto, la salute, l’integrità, la purezza, se lei vuole, sono un effetto della volontà e d’una volontà che non si deve mai fermare. L’uomo onesto, colui che non infetta quasi nessuno, è colui che ha distrazioni il meno possibile.” E di epidemie ne sono piene le Sacre Scritture, gli autori antichi e i libri di storia. Rappresentano un freno, una svolta, un capovolgimento, un rimescolare il tutto.
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