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lunedì 10 febbraio 2020

Raffaele Lauro compie 76 anni

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Intervista al giornale on line "Politica in Penisola"

Sorrento - Oggi, 10 febbraio 2020, ricorre il settantaseiesimo genetliaco dello scrittore sorrentino Raffaele Lauro,  essendo nato a Sorrento, e precisamente, il 10 febbraio 1944, terzogenito di Luigi Lauro e di Angela Aiello. Per formulargli gli auguri più fervidi da parte del nostro giornale e dei nostri lettori, lo abbiamo intervistato, in un anno per lui significativo, con l’uscita già annunziata del suo diciottesimo romanzo su Greta Garbo e del saggio critico sulla sua intera opera narrativa, scritto dalla giornalista e scrittrice siciliana Patrizia Danzè. Della sua straordinaria carriera di studente-lavoratore, di plurilaureato, di docente liceale e universitario, di amministratore locale, di prefetto, di grand commis de l’Etat, ai vertici delle istituzioni di governo, di parlamentare, di politico, di saggista, di regista, di pubblicista e, da ultimo, di scrittore, nonché dei riconoscimenti prestigiosi ricevuti e delle sue storiche battaglie contro tutte le mafie, l’usura e il gioco d’azzardo, si è scritto in abbondanza e ne resta la testimonianza, ancorché parziale, sul suo sito web (www.raffaelelauro.it). Gli abbiamo rivolto, quindi, domande sul suo privato, sul suo quotidiano e sulle nuove sfide, che lo attendono. Un’intervista quasi intimistica, ma rivelatrice.D.: Come ci si sente, professore, dall’alto della sua incredibile, prolifica e complessa carriera nel giorno del compimento del settantaseiesimo genetliaco della sua vita, che le auguriamo di continuare, in buona salute, per anni e anni ancora, sempre fervidi e operosi?

R.: La ringrazio vivamente.  Mi sento sereno, tranquillo, pieno di impegni, non solo di carattere culturale, la scrittura, ma anche manageriali, progettuali e organizzativi. Tra Roma e Milano. Le nuove sfide. Non ho mai lavorato tanto.  Ho ereditato da mia madre Angela, la quale, a novantuno anni, progettava il futuro, due mission: non andare mai psicologicamente in pensione, se non vuoi diventare un morto vivente; cercare di riimanere a contatto con i giovani, dai quali c’è sempre da imparare.

D.: Lei fa di continuo cenno a sua madre, sulla quale ha scritto ben due libri. Cosa ha appreso da suo padre Luigi?

R.: Mia madre era estroversa, dialettica, conversatrice ammaliante, affabulatrice, mio padre, uomo semplice e silenzioso, laborioso, una formica. Dedito solo al lavoro e alla famiglia. Un saggio antico del “vivi nascostamente”. Quando parlava, tuttavia, le sue erano sentenze inappellabili, ironiche, spiazzanti. Ti inchiodava subito alle tue responsabilità. La sera che tornai dal conseguimento, a Napoli, della mia prima laurea, evento  tenuto  in segreto anche in famiglia, e glielo comunicai, lui, pur intimamente  orgoglioso, mi rispose: “Hai fatto la metà della metà del tuo dovere!”. L’etica del lavoro, lo spirito di servizio,  questo il suo insegnamento, una legge di vita,  che non ho mai tradito, in tutti miei incarichi, anche di alta responsabilità. Non finirò mai di essergli grato di avermi avviato al lavoro in albergo, appena  tredicenne, imponendomi di mettere da parte i risparmi guadagnati per finanziarmi gli studi classici. Da mia madre ho ereditato la curiosità per la vita e l’attivismo; da mio padre, invece,  il rigore, il dovere, e la sacralità del lavoro.


D.: Fa spesso riferimento alla sua fede cristiana. Quanto ha inciso e quanto incide questa forte, convinta e rivendicata dimensione religiosa, nella sua vita, nelle sue scelte e nelle sue relazioni umane?

R.: Ho navigato su tutti i mari ideologici, filosofici, scientifici, storicistici, esistenzialistici e nichilistici per tornare sempre al mio punto di partenza: la fede in Cristo, il suo sconvolgente messaggio di amore universale, di speranza e di carità. L’unica vera rivoluzione nella storia dell’umanità! Deus caritas est! Nessun filosofo, nessun scienziato può spiegare il Mistero. Rimango,  ieri come oggi, un provvidenzialista, un cattolico claudicante, un peccatore fiducioso nel perdono e nella misericordia di Dio. Ogni mia scelta, ogni mio gesto di disponibilità verso gli altri, persino ogni mio errore, va ascritto,  per me, ad un disegno provvidenziale. Capire cioè gli accadimenti della vita e dell’esperienza, come “segnali” della divina provvidenza. Anche quando si diventa oggetti di ingratitudine, di sofferenza, di dolore e di malattie, nonché di ingiustizie. Amare sempre, nonostante tutto. 

D.: Della sua vita sentimentale, tuttavia, non parla mai. Perché?

R.: La mia vita sentimentale, il mio amore per gli altri, senza alcuna distinzione di persone, è tutta scritta nei miei libri. L’elogio della vita, dell’eros e della morte. Quando non si riesce a garantire la fedeltà a nessuno, e si sceglie la strada della libertà, senza compromessi, senza falsità, senza ipocrisie, senza una vita doppia, menzognera, il prezzo può essere anche la solitudine. Su questo tema, non ho scelto a caso di scrivere della vicenda umana, non cinematografica, della Garbo, cioè l’elogio della solitudine. D’altro canto, ciascuno di noi, celibe o sposato, padre, marito, nonno, è sempre solo di fronte all’Assoluto, anche con quattro matrimoni e tre divorzi alle spalle, nonché decine di figli e nipoti. Comunque, se ne avrò il tempo, concluderò la mia attività narrativa proprio con un’autobiografia sentimentale, solo come testimonianza conclusiva, magari scandalosa,  dell’universo amore.

D.: Anche il tema della morte, alla quale ha dedicato il bellissimo romanzo “La condanna”, occupa da sempre le sue riflessioni, la sua stessa identità morale e spirituale. Perché?

R.: Fin da piccolo l’ho guardata in faccia e mi interrogavo. Infatti mia madre mi rimproverava: “Basta parlare della morte, lo sai che diventi noioso!”. Perché la morte, la mia morte, la nostra morte, non quella degli altri, neppure quella di persone care e amate, rappresenta lo snodo, il focus, di tutta la nostra esistenza terrena. Senza la morte, ed anche senza la paura della morte, non avrebbe alcun senso la vita, la bellezza della vita. Oserei dire che la bellezza della vita si invera in quella della morte. La sorella morte di San Francesco! Quanta divina verità in quella espressione. In un attimo, come la testa mozzata che rotola nel canestro sotto la ghigliottina, crollano tutte le illusioni, a partire dal possesso delle cose, della ricchezza materiale, dei patrimoni e dai propri egoismi. Bisogna stare al potere, nella convinzione che l’alba del nuovo giorno,  sia quella dell’ultimo giorno. Bisogna vivere ogni ora della propria vita, nella convinzione che quell’ora possa essere l’ultima ora. Bisogna tenersi pronti, con una valigia vuota. 

D.: La sua lucidità quasi spaventa. Passiamo a considerazioni più lievi! Come e con chi festeggerà la ricorrenza odierna?

R.: Adoro organizzare alla grande le feste di compleanno. Memorabili quelle dei novant’anni dei miei genitori. Non la mia. Mai fatto. Mi ero ripromesso di fare un’eccezione quest’anno, ma ho dovuto rinviare ad altra ricorrenza per ragioni puramente organizzative. Festeggerò in famiglia, come sempre, e con pochissimi amici romani.

D.: Che messaggio conclusivo vuole inviare ai tanti cittadini, sorrentini e non, che la seguono sul nostro giornale e sul web?

R.: Che li ringrazio, di cuore, per la loro attenzione e il loro sostegno, e, anticipatamente,  per gli auguri che, come ogni anno, avranno la cortesia di farmi pervenire,  ai quali cercherò di rispondere in prima persona. In un momento difficile, drammatico, quello che stiamo vivendo, come mondo e paese, di fronte ad una classe politica e dirigente inetta, incapace, incolta, irresponsabile e impreparata, al limite del ridicolo, di fronte ad alternative di potere demagogiche, populiste, minacciose e intolleranti, nonché di fronte ad una crisi economica che sta distruggendo  il futuro delle nuove generazioni e del nostro Sud, rinnovo il monito imperituro di Gaetano Salvemini, di fronte al fascismo: non mollare!

D.: Questo può significare anche un sua ricandidatura al Parlamento? 

R.: Allo stato non corrisponde alla mia volontà e ai miei progetti. Poi, se dovessero arrivare “segnali” precisi, inequivocabili e ineludibili, non rinunzierò di nuovo a fare il mio dovere.  

Buona vita, professore! 

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