di Filomena Baratto
In altri tempi, sarebbe stata una battuta offensiva: non dare confidenza e tenersi lontano dall’altro in quanto indesiderato. Oggi mantenere le distanze è un dovere per l’imperversare del virus.
Non sarà così semplice. I bambini, per primi, in questo periodo hanno cambiato il ritmo di vita. Privi di spazi, di luoghi all’aperto, di aria, si sono ritrovati a rotolarsi nel soggiorno o in cameretta, a dare vita alla giornata. Per la prima volta hanno usufruito di mamma e papà insieme come non succedeva da tanto. Abituati a presenze e tempi ristretti, si sono ripresi una rivincita. Hanno messo su un po’ di chili con la cucina di mamma, fatto tardi la sera, giocato e studiato a distanza in pigiama. Si sono lamentati come non facevano dalle fasce, incollati alla tv, con i loro supereroi, al computer, a contattare gli amici. Spesso chiedono coccole, si arrampicano sulle gambe per essere presi in braccio, sbaciucchiano la mamma e il papà che diventano i loro compagni di giochi, con abbracci e baci a volontà. I bambini non riescono a contenersi, hanno bisogno del contatto fisico, così gli adulti. L’abitudine di salutarsi con una stretta di mano e un bacio è sempre stata importante e non solo per pura formalità. Come si fa a esortare un amico senza tirargli una pacca sulla spalla o stringerlo per confortarlo o avvicinarlo per una confidenza.
E al bisogno si oppone il monito: “Stai lontano, non avvicinarlo, potrebbe contagiarti”. E così nel bel mezzo di una slancio, arretriamo, redarguiti dal virus che diventerà il nostro ispettore di igiene e di rapporti, misurando le distanze e avvertendoci quando stiamo superando il limite. E non ci inoltriamo nell’argomento amore, vasto com’è. Il bacio, sarà permesso o vietato? E come potrà essere, casto, uno sfiorare o un sostare? Giornaliero o quindicinale? Forse sarà vietato del tutto e invece di avvicinare i volti, ci contatteremo con un’asticella a mo’ di uncino di pirata, agganciando l’altro non per avvicinarlo, ma a spingerlo fuori dalla nostra orbita. Già abbiamo sperimentato di dormire in camere separate, riscoprendo il piacere di avere un letto intero, come quando si dormiva a casa di mammà. Un motivo in più per chiedere asilo nel bel mezzo della notte con la scusa del letto vuoto. Ma la distanza? Vabbè, per questa volta il virus comprenderà. E i genitori? Andremo con lo scafandro ad aiutarli nelle faccende di casa, nelle normali operazioni di pulizia quotidiana. Useremo gli occhi anche per parlare. Un bacio alla mamma sarà proibito, tanto siamo grandi, abbiamo già avuto e loro dato. E proprio in questo periodo cresce il bisogno di manifestazioni affettuose, insomma quelle smancerie che tutto sommato ci facevano stare bene. E a volte sono proprio quei genitori, un tempo rigidi, a esigere più attenzioni, chiedendo apertamente una carezza, un abbraccio. Ora se accade, ricordiamo i minuti in cui è avvenuto, per quanto tempo si sono protratti, se abbiamo lavato le mani, se le abbiamo disinfettate. E tra le persone anziane? Pochi hanno l’abitudine di passare dalle parti dell’altro. Molti non lo fanno per pudore, credono che certi atteggiamenti abbiano un tempo oltre il quale non sono più concessi. Altri sono così abitudinari nelle loro effusioni che le hanno spogliate di ogni valore. Ora anche questi gesti saranno vietati. Il virus può intrufolarsi tra un interstizio fisico e l’altro e minare l’organismo. Se viene loro voglia di un bacetto, ci sarà sempre quello di cioccolato caricando diabete e trigliceridi. Per i giovani va anche peggio. Una volta usciti dalla quarantena, devono recuperare due o tre mesi di blocco totale. Per loro il bacio, l’abbraccio, le coccole dovranno esserci anche a costo di lottare corpo a corpo col virus. Costui naviga a 360 gradi nel nostro corpo caricandoci di pensieri, paure, depressione, ansia. La carenza affettiva porta a interpretare il distacco come una mancanza di interesse dell’altro e del prossimo nei nostri confronti. Ci resta solo il telefono per coltivare gli altri. Ce la faremo a mantenere gli stessi rapporti di prima? Ci penseranno i robot ad avvicinarsi a noi, programmati per rispondere alle nostre richieste, e a tutto ciò di cui abbiamo bisogno. E quando saremo abbastanza distanziati da dimenticare com’è stare l’uno accanto all’altro, ci spetta rieducarci a stare vicini, a sentire l’altro, a conoscerlo, cosa quest’ultima già caduta in disuso da parecchio.
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