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sabato 13 giugno 2020

Anziani e solitudine

di Filomena Baratto

Gli anziani, oggi, sono una grande risorsa in un paese che invecchia sempre più e dove le aspettative di vita continuano a salire. Assistiamo i nostri genitori in questo processo giorno per giorno anche se non accettiamo vederli invecchiare, nonostante si tratti di un inesorabile ritmo cui andiamo incontro tutti. A volte gliene facciamo una colpa, non gli perdoniamo di allontanarsi dai nostri ricordi, da quelle immagini giovanili che ancora girano per casa e ci parlano del tempo in cui erano belli e forti e noi tra le loro braccia. Poi, in breve, noi ci troviamo adulti e loro lontano da quel modello. E’ come sentirsi traditi, delusi. Un sentimento reciproco che provano anche i genitori quando non hanno più davanti il figlio bambino ma un uomo. Sono immancabili considerazioni che avvengono in ogni rapporto affettivo. Ne scaturiscono impressioni negative e positive e mentre i figli resistono per la vita ancora in corsa, i genitori ne soffrono e somatizzano quei pensieri che restano dentro senza risposta. Spesso si trasformano in dolori fisici inspiegabili, manifestando in questo modo ciò che provano. Vengono poi meno le forze, i progetti e l’entusiasmo. Dicono di non stare bene, di non farcela, di voler riposare, di non riconoscersi per quello che facevano prima. E’ la reazione ai cambiamenti che innesca meccanismi di rivolta. Molte cose si trasformano in modo irreversibile e ci vuole poco a cadere in depressione.


Poi, che sia depressione, lo si capisce quando cominciano altre abitudini, rallentano, evitano, non escono. Lentamente le azioni di un tempo si spengono e giustificano l’atteggiamento con la fatidica espressione: ”E’ la vecchiaia”, un processo fisiologico e ineluttabile. La solitudine è definita dalla relazione dell’altro, l’isolamento, invece, è una solitudine negativa in cui si è chiusi in se stessi. “Non fa paura l’isolamento causato da una malattia – afferma Eugenio Borgna – ma quello causato dal deserto delle emozioni, con freddezza transferale, così inquietante e strisciante, così camaleontico e dissimulante, così arido e così nascosto in ognuno di noi”. L’esperienza della quarantena ci ha mostrato la fragilità di questa fase di vita e di quanto si speculi su di essa. Non è il benessere che interessa a un anziano, ma il calore della sua famiglia. Che vuoi che se ne faccia di quello che mangia o veste, ha bisogno di condividere la sua vita con gli altri, di tenere accanto i nipoti, di sentirsi ancora utile e preso in considerazione, di essere a sua volta un punto di riferimento per gli altri. La dignità è restare quello che si è sempre stati. A questa età si è più fragili, si reagisce poco anche alla cattiveria, si è accomodanti, a volte insistenti e testardi per dimostrare di avere ancora una volontà con la quale imporsi. Anche il più sano degli anziani ha le sue carenze e momenti malinconici, che dovrebbe superare in ambito familiare con una degna e accurata accoglienza. E’ fondamentale continuare a fornire alle persone anziane l’attenzione di quando erano al massimo della loro efficienza, senza declassarle a incapaci o bambini. A questa età possono accentuare le spigolosità del carattere, diventando lamentosi, ossessivi, insistenti, un buon motivo, secondo alcuni, per tenerli lontano. Sarebbe troppo capire e sfogliare la vita di un anziano come un insieme di fatti che lo hanno reso quello che è ora? E’ l’espressione finale di un vissuto che lo ha forgiato. E ancora si aspetta dalla vita ciò che non conosce. Per ogni uomo avanti negli anni il giorno è prezioso, le piccole cose necessarie. Sa apprezzare quel poco che riceve, che sia un saluto, un’attenzione, un sorriso, una mano e non accetta di essere messo al bando. E scattano litigi e incomprensioni all’interno della famiglia, a volte, proprio per questa estromissione e dove ci si aspetta che a soccombere sia sempre lui. E giungiamo alla conclusione che quella persona debba stare da sola, volendola punire ancora di più. Queste disaffezioni diventano nocive per chi le attua e per chi le subisce. Dovremmo avere più rispetto per l’ultima parte della nostra vita facendola scorrere con serenità. La vera civiltà si preoccupa e si occupa dei più deboli, ma nella nostra non abbiamo ancora dato valore alla vecchiaia: di solito o la eludiamo, credendoci eterni giovani, o la sottovalutiamo, credendola una “fine” e basta. L’anziano chiede di vivere nel contesto in cui è sempre stato, chiede ascolto e vuole continuare a dare il suo contributo anche in condizioni non ottimali. Per non parlare di quei sentimenti, a volte anche contrastanti, che attraversano la mente come fulmini, con repentini cambiamenti di umore. Andrea Riccardi afferma che “L’esperienza di invecchiare, fino a qualche generazione fa, era un fatto di pochi, e limitata per lo più al mondo del benessere. Oggi, ovunque, è l’attesa di ogni vita. Si possono allontanare gli anziani dalle case, si possono allontanare dagli ambiti di vita, pensiamo alla presunta ineluttabilità degli istituti, una mentalità profondamente sbagliata che porta ad atti di disumanità, oltre che di follia pura, in termini economici e sociali, (…) ma non si può eliminare quell’anziano che è in ognuno”. Il vero problema è la paura della fragilità, ma talvolta può diventare un punto di forza.

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