di Raffaele Lauro
1. Va doverosamente premesso che, in politica e nella vita, come insegna la Storia, nessuno possa ritenersi o essere giudicato insostituibile o indispensabile. Ritorna alla mente la celebre sentenza, sempre attuale, pronunciata, alla Conferenza di Pace di Parigi (Versailles, 1919), seguita alla fine della prima guerra mondiale, dal primo ministro francese Georges Clemenceau: “Di persone insostituibili sono pieni i cimiteri!”. Ne rendono testimonianza sterminate schiere di sovrani, imperatori, dittatori, autocrati, nonché condottieri, fondatori di imperi, venerati padri della patria e leader democratici, il cui mito della insostituibilità, sia in vita che post mortem, si è sempre disgregato, in un baleno, non di rado insieme con le statue celebrative, sotto i colpi delle alterne e imprevedibili vicende umane. Il mito della insostituibilità, quindi, può definirsi un falso, un falso storico! Nonostante alcuni personaggi meritevoli restino nella memoria per le gesta, per i meriti acquisiti e per i servizi resi ai popoli e alle nazioni, infatti, neppure il mito della loro insostituibilità, coltivato in vita, ha retto all’oltraggio livellatore e devastante del tempo.
2. Una domanda sorge spontanea! Può un qualsiasi personaggio politico, in una democrazia, ancorché presidenziale, semi presidenziale o parlamentare, essere giudicato insostituibile, al di là dei suoi meriti o, persino, dei suoi demeriti? Si tratta di una domanda retorica, perché un regime democratico, per la sua stessa natura, dovrebbe escludere una simile illusione, peraltro chimera aberrante ed effimera. Resta da approfondire, allora, come si possa spiegare il mito falso della insostituibilità del premier Giuseppe Conte, che sembra essersi radicato, come una gramigna, sul terreno già dirupato della nostra democrazia agonizzante, in una fase drammatica della sua esistenza e della stessa sua sopravvivenza. E perché permanga nelle coscienze, ottenebrate da una propaganda manipolatrice, della maggior parte dei responsabili politici, istituzionali, datoriali, sindacali e della comunicazione, questa omertosa condizione psicologica di cieca assuefazione, di accettazione e di rinunzia a prendere atto di una evidente e drammatica realtà, a partire dal già raggiunto record di 52.000 vittime innocenti, diventate, sui media, un dato meramente statistico! Quali sono le ragioni di fondo, o meglio gli interessi, palesi od occulti, che alimentano, anche mediaticamente, questa stortura della nostra democrazia? Si impone un’analisi, senza pregiudizi, di questo coacervo di situazioni e di interessi per capire, se possibile, il “cui prodest?”.
3. Diverse sono le ragioni o, meglio, i pilastri sui quali si fonda questo mito falso che rischia di inquinare e alterare il tessuto democratico nazionale fino alla conclusione, nel 2023, di questa maledetta legislatura e, financo, oltre.
L’ANOMALIA
DELLA XVIII LEGISLATURA (2018-2023)
Questa
legislatura, fuoriuscita dalle urne dopo una campagna elettorale fatta di
risse, di insulti, di odio diffuso e di rancore sociale, nonché di programmi
folli, illusori e irrealizzabili, ha rivelato, da subito, la sua impotenza e la
sua anomalia. In una democrazia parlamentare normale, non malata come la
nostra, un parlamento paralizzato andava sciolto, mettendo il corpo elettorale
di fronte alle proprie responsabilità. Al contrario, ha partorito due governi,
del tutto inidonei, formati da ex nemici, politici ed elettorali, con programmi
contraddittori e antitetici, senza nessuna capacità di realizzare le riforme
strutturali, di cui il paese necessita. Con un’anomalia nell’anomalia: due
governi presieduti da un personaggio, venuto dal nulla, chiamato a mediare su
tutto, senza decidere niente, e a garantire alleati incompatibili, nonché
programmi inconciliabili.
L’AUTOREFERENZIALITÀ
E LE ASTUZIE MACHIAVELLICHE DEL PREMIER CONTE Prescelto, agli inizi, per
essere un notaio, senza ambizioni future, un mediatore tra opposti (Di Maio e
Salvini), aventi entrambi mire, aspirazioni personali e strategie divergenti,
tacciato di essere un “vaso di coccio” o un “Re Travicello”, ha rivelato ben
presto, con la grazia di stato, doti imprevedibili (e impreviste dai suoi
referenti politici!) di autoreferenzialità, di autopromozione mediatica, di
astuzie machiavelliche, di gestione sfrontata del potere e di sapiente
manipolazione dei suoi alleati di turno. Conte si è trasformato così in un vaso
di ferro, in un Re Leone e in un esperto navigatore tra le fragilità del
nostro sistema politico, le debolezze dei suoi alleati (sempre di turno!) e gli
errori, nonché le incongruenze, delle forze di opposizione. Un regista (da
Oscar!) della politica nazionale in salsa commedia dell’arte, teatrino e recita
all’italiana. Il suo capolavoro? L’attacco micidiale a Salvini in parlamento,
nell’agosto 2019, “bollato”, in parte a ragione, come un traditore, un pericolo
per la democrazia e un cripto-autocrate, con venature razziste e anti
umanitarie. Un alibi perfetto, utilizzato da Conte per candidarsi a presiedere
un governo agli antipodi del precedente, successore di se stesso perché
“insostituibile”. Un alibi condiviso e alimentato dalla propaganda interessata
dei “governisti” del PD, pronti ad allearsi anche con il diavolo, pur di
rientrare nelle stanze dei bottoni, naturalmente per “salvare la democrazia”
dal salvinismo, dal sovranismo e dal populismo, rinnegando princìpi e valori
della propria storia politica. Il “nuovo” Conte, quindi, è divenuto magicamente
un campione, altro che “avvocato del popolo”, nello sfruttare le
arrendevolezze, le viltà, gli interessi sotterranei, le vigliaccherie, gli
errori, i deliri di onnipotenza e i tatticismi strumentali del suoi comprimari
sulla scena, tra finti alleati e finti oppositori: in primis, i Di Maio, i
Renzi, i Salvini, gli Zingaretti, i Franceschini, i Berlusconi, tanto per
citare i cosiddetti “pesi massimi”. In tal modo, il giovane foggiano, imbevuto
poi di spirito fiorentino, ha ammansito, blandito, messo in riga e ridotto
all’impotenza grillini, democratici, renziani, leghisti e forzisti. Metodo di
governo? Tatticismo senza limiti: rinviare sempre, mediare laddove possibile,
promettere riforme a getto continuo, anche costituzionali, patti di
legislatura, piani e contropiani, commissioni di studio, task force, commissari
alla giornata, dossier aperti all’infinito, costruire ponti sul futuro.
Strategia? Sopravvivere, galleggiare, mantenere il potere, alimentare il mito
della propria insostituibilità mediante il gradimento popolare. Risultati
strutturali: pari allo zero.
LA POCA
CREDIBILITÀ DEL CENTRODESTRA, COME ALTERNATIVA DI GOVERNO
Se si
analizzano in successione tutti i passaggi politici delle (attuali) opposizioni
parlamentari, prese singolarmente, Lega di Salvini, Fratelli d’Italia della
Meloni e Forza Italia di Berlusconi, dalle elezioni del 2018 a oggi, fine 2020,
si constata che, al di là delle dichiarazioni unitarie di facciata a fini
elettoralistici, specie in occasione di elezioni regionali o europee, il
cosiddetto centrodestra, inteso come alleanza organica, che aspiri, con un
programma unitario e una strategia condivisa per il nostro Paese, a diventare
alternativa di governo, non esiste. Non ne possiede, allo stato, la sufficiente
credibilità. Si tratta di una pseudo-alleanza, una tigre di cartapesta,
dominata da contrasti insanabili tra i co-protagonisti su tutti i temi
essenziali (politica estera e alleanze internazionali, posizione rispetto
all’Unione Europea, politica economica, proposte per la soluzione della crisi
economico-finanziaria in atto, riforme strutturali, a partire dal fisco,
riforma elettorale, ecc.). La progressiva perdita di ruolo centrale di
Berlusconi, come polo propositivo e di mediazione, le ambizioni salviniane a
una leadership che faccia terra bruciata anche intorno agli alleati, le
aspirazioni meloniane a prosciugare il bacino di consensi di Forza Italia, il
tradimento di Salvini nella formazione del primo governo Conte, le risse per le
candidature regionali, le divergenze, persino nelle commissioni e nelle aule
parlamentari, testimoniano l’inadeguatezza del cosiddetto centrodestra a garantire,
allo stato, una seria e valida alternanza di governo. Anche su questo terreno
di divisioni, di contrasti, di scavalcamenti e di spietata concorrenza
elettorale, nonché di leadership, si è esercitata finora, con riscontrabile
successo, l’abilità tattica del premier Conte, in base all’eterno metodo del
“divide et impera”. Ne costituisce prova la recente attenzione riguardosa verso
il “sovrano” di Arcore, trasformato con l’aiuto delle scandalose giravolte
grilline e delle fanfare del PD, da “impresentabile pregiudicato” a “statista
responsabile”. Pronto a soccorrere con le sue truppe, ormai ridotte, pur sempre
determinanti, un governo in affanno sulla manovra finanziaria e lo scostamento
di bilancio. Nonché contribuire all’elezione del successore di Mattarella,
ormai alle porte. Il prezzo? Sempre lo stesso, come ai tempi del centrosinistra
di Massimo D’Alema: l’emendamento galeotto del ministro Patuanelli pro-Mediaset
e la salvaguardia dell’italianità del gruppo Fininvest. Il “Tutto muta, tutto
resta eguale” di Calderón de la Barca! Il gattopardismo di ritorno, che infetta
l’intera classe politica nazionale. Questa condizione di inadeguatezza delle
opposizioni, tra di loro spaccate, consente al premier Conte persino di
irriderle, promettendo e chiedendo loro collaborazione, a chiacchiere, magari
fingendo di corrispondere ai moniti del Quirinale, ma, nei fatti, non
accogliendo neppure una briciola delle loro proposte, come spesso denunzia, con
determinazione, la Meloni. Cui prodest? Anche la debolezza del centrodestra
contribuisce a irrobustire il mito della insostituibilità di Conte, sia
all’interno che in Europa, sia in parlamento che nei confronti della
maggioranza di governo. Gli consente di regnare incontrastato sulle spaccature
ricorrenti dei grillini, pre e post stati generali, tenendo a bada le ritrovate
ambizioni di Di Maio, di placare le ricorrenti irrequietezze e sparate
donchisciottesche di Renzi, alla ricerca della visibilità perduta, e di gestire
le frustrazioni di Zingaretti&company, nonché di dileggiare, con punte di
arroganza, quanti gli agitano davanti lo spauracchio di Mario Draghi. Il fatto
che il centrodestra, giovedì scorso, abbia votato unitariamente lo scostamento
di bilancio, trainato dal neo-collaborazionismo filo governativo di Berlusconi
e mediato dall’abilità diplomatica della Meloni, che ha convinto Salvini a
cedere, non modifica di una virgola l’analisi di un centrodestra di cartapesta.
Una rondine, infatti, non fa primavera! Si vedrà se questa prova contingente di
“responsabilità istituzionale” reggerà ai prossimi appuntamenti, a partire dai
futuri e prevedibili scostamenti di bilancio. In ogni caso, si tratta del
“trionfo” di Conte, che ha ben volentieri ringraziato, in quanto il mito della
sua insostituibilità ne esce rafforzato, anche se dovrà passare, ben presto, in
parlamento, sotto le forche caudine del MES, per il quale non basterà neppure
il soccorso del centrodestra, in quanto a essere lacerata risulta la
maggioranza. I contiani di complemento e i fan dell’avvocato, tuttavia, stiano
tranquilli, perché il loro leader morale non si arrenderà facilmente e supererà
“miracolosamente” anche questa prova.
L’ISTINTO
ALLA SOPRAVVIVENZA DEL PARLAMENTO
La
composizione del parlamento in carica e dei gruppi parlamentari, al Senato e
alla Camera, rappresenta uno dei pilastri fondamentali del mito sulla
insostituibilità del premier Conte. Un’assicurazione sulla vita! Prima di
certo, ma particolarmente dopo l’approvazione definitiva del taglio,
irrazionale e meramente propagandistico, del numero dei parlamentari. Il timore
di ritornare a casa, senza alcuna possibilità di una ricandidatura sicura
(magari senza neppure un mini-vitalizio di consolazione!), di molti “giovani”
deputati e senatori, al primo o al secondo mandato, ha reso le commissioni e le
aule parlamentari luoghi geometrici passivi, deserti e acquiescenti, di
ratifica degli atti del governo, senza dibattito, senza possibilità di emendare
e senza poter esprimere dissensi motivati o fornire contributi di miglioramenti
a testi legislativi non di rado giuridicamente raffazzonati. Prendere o
lasciare! Approvare o fare i bagagli! La crisi dell’istituzione centrale della
nostra repubblica democratica, già evidente in passato, appare, sotto i colpi
della iperdecretazione di urgenza, ormai irreversibile. Ne sono testimonianza
quattro constatazioni: i numerosi e crescenti fuoriusciti dai gruppi
parlamentari del M5S (più di cinquanta, un vero record!), passati ad altri
gruppi o al misto, non hanno mai messo in dubbio, in cuor loro, la “fiducia”
nei due governi Conte; nessun provvedimento é stato emendato con il contributo
delle opposizioni, nonostante la retorica contiana delle collaborazione; ogni
ipotesi di rimpasto é sempre stata bypassata dal premier, nonostante le minacce
“a salve” di Renzi e le blandizie inascoltate di Zingaretti; da ultimo, la
nuova legge elettorale, pur urgente e necessaria per porre riparo agli effetti
devastanti del taglio, è rimasta impantanata nei veti contrapposti. Il M5S in
primis, ma non il solo, ha contribuito all’agonia della odiatissima “democrazia
rappresentativa”, senza che la loro celebratissima, a slogan, “democrazia
diretta” abbia fatto passi avanti, nel segno della partecipazione,
dell’efficienza e della trasparenza. Tutt’altro! Questa crisi istituzionale, da
un lato, e, dall’altro, l’istinto vitale alla sopravvivenza, fino al 2023, dei
parlamentari, nessuno escluso, sono stati gestiti con raffinata maestria dal
premier, diventando un collante vitale per il governo, i cui errori, i cui
rinvii e le cui improvvisazioni non ne mettono in dubbio la capacità di
resistere a qualsiasi sopravvenienza politico-parlamentare. E se anche, al
Senato, la cosiddetta maggioranza dovesse traballante, per qualche voto, non
mancherebbe il “pronto soccorso” di frange delle opposizioni, timorose
anch’esse per il loro futuro o per gli interessi di qualche padrone.
L’inesperto Conte è diventato ben presto un abile ed espertissimo dosatore
degli equilibri parlamentari, tale da far impallidire i suoi più famosi
predecessori della prima o della seconda repubblica, contribuendo così a
rendere diffuso il suo mito. Aprės moi, le déluge!
LA PANDEMIA,
LE TRE ANARCHIE E IL ROVESCIO DELLE RESPONSABILITÀ
Mettere in fila, come già documentato analiticamente in due saggi, “L’Italia
sul baratro” e “Io accuso”, gli errori commessi e le responsabilità assunte
nella gestione della pandemia e degli effetti nefasti della stessa sul sistema
economico nazionale e sulla coesione sociale, nel corso di dieci mesi, dal 31
gennaio a oggi, sia pure in estrema sintesi, non risulterebbe agevole. Basta
rilevare, ai nostri fini, come la mancanza di coordinamento, di programmazione
e di direzione politica del premier, sancita dall’art. 95 della Costituzione,
abbia provocato un’anarchia istituzionale, tra Stato, Regioni ed Enti Locali,
un’anarchia comunicazionale, fatta di annunzi improvvidi e contraddittori dei
membri del governo, e un’anarchia scientifica, alimentata da virologi e
consulenti improvvisati. Nonostante errori e ritardi, annunzi e promesse di riforme,
mai avviate, stati generali e commissioni di esperti, commissari straordinari,
un profluvio di decreti, anche economici, inapplicabili, una distribuzione a
singhiozzo e a pioggia di enormi risorse finanziarie, tutte a debito, la
mancata ripresa, lo spettro del fallimento di migliaia di imprese, la figura
del premier, anche per merito di una strategia comunicativa studiata a
tavolino, nel silenzio acquiescente, omertoso e, talora, interessato della
maggior parte dei media, ha riscosso un crescente gradimento nei sondaggi,
soltanto di recente leggermente appannato. Il presenzialismo mediatico e la
retorica da neo “padre della patria”, in mancanza di un contraddittorio,
credibile e intransigente, ha coperto e offuscato errori, manchevolezze,
inadeguatezza, ritardi, fallimenti, promesse mancate e aperte contraddizioni.
La costante tecnica del rovescio delle responsabilità sugli altri livelli
istituzionali, sulle forze economiche e sociali, su parte dell’opposizione e,
persino, sui cittadini irresponsabili e sordi ai suoi appelli e alle sue
paterne raccomandazioni, ha prodotto un miracolo: il mito della sua
insostituibilità si è rafforzato. Questo fatto rappresenta il vero “metodo
italiano”, non quello contrabbandato nella prima fase della pandemia e, buon
per lui, accantonato nel corso della seconda ondata, tuttora in atto.
CONTE: IL
NUOVO AGO DELLA BILANCIA DELLA (IM)POLITICA ITALIANA
Parafrasando gli storici
contemporanei di Lorenzo il Magnifico, che definivano il Signore di Firenze
“l’ago della bilancia dell’Italia”, il premier Giuseppe Conte potrebbe essere
definito, a ragione, in questo delicato e drammatico passaggio della nostra
storia nazionale, come “l’ago della bilancia della (im)politica italiana”.
Sebbene abbia commesso errori epocali, sebbene abbia coniugato sempre al futuro
gli impegni da prendere (ultimo, in ordine di tempo, il piano nazionale per il
Recovery Fund, spostato a febbraio), sebbene abbia spesso sottovalutato le
difficoltà e sostanzialmente illuso gli italiani, viene ritenuto, ancora oggi,
dai più, come un premier insostituibile. Se nessuno è insostituibile, come
insegna la Storia e la vita, resta da chiedersi quanto tempo ancora sarà
necessario per vedere svanita questa paranoia collettiva e smascherato questo
ennesimo falso storico. Un dato risulta inoppugnabile: la sua abilità e la sua
disinvoltura nella gestione del potere, a partire dai servizi segreti che non
ha mollato mai, sorprendente per un neofita della politica, senza maestri,
tuttavia interprete ed epigono del motto andreottiano: “Il potere logora chi
non ce l’ha!”. La scaltrezza volpina non gli fa difetto, per cui anche lui,
prima o poi, “finirà in pellicceria”. Questo, però, sarà un nuovo capitolo
della tragedia politica italiana, tutto da scrivere.
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