di Raffaele Lauro, segretario generale di Unimpresa
Con il convegno nazionale di riflessione e di proposta, rivolte sia al governo che al parlamento, organizzato domani, presso il Palazzo della Minerva (Senato della Repubblica), sul tema attualissimo del “welfare aziendale”, Unimpresa gioca d’anticipo, ancora una volta, su un tema essenziale per la ripresa economica e per il ruolo centrale che, in essa, vi dovranno svolgere le imprese, specie le piccole e le medie, e i lavoratori, attraverso le loro rispettive rappresentanze, datoriali e sindacali, a livello nazionale e aziendale. Dopo due anni di pesanti sacrifici, provocati dalla pandemia e, poi, dagli eventi bellici, sacrifici peraltro tuttora affrontati, una recessione, caratterizzata dalla letale tenaglia della stagnazione e dell’inflazione, sarebbe devastante, anche per le non prevedibili ricadute sulla stessa tenuta sociale e sull’ordine pubblico del nostro paese. Come è stato documentato da pregevoli report e indagini conoscitive di autorevoli istituti di ricerca, in materia di lavoro, sulla rapida evoluzione delle relazioni industriali e sindacali, nonché dalle aggiornate statistiche di merito del nostro centro studi, la questione del “welfare aziendale”, per diventare effettivamente strategica, e non solo contingente, ai fini della ripresa, imporrà, necessariamente, una “rivoluzione” nell’approccio e nella mentalità del mondo imprenditoriale e sindacale, nonché scelte governative di politica sociale e di sostegno concreto, non più derogabili, da inserire nella legge finanziaria 2023 e nei programmi, con i quali i partiti, in preda a una profonda confusione esistenziale, avranno l’ardire di presentarsi agli italiani nella tornata elettorale della primavera 2023.
1. LA FILOSOFIA “WORK LIFE BALANCE”
Da molti anni, la capacità di bilanciare il lavoro con la vita privata, cioè la filosofia “work life balance”, ha occupato schiere di studiosi, pensatori, sociologi, giuslavoristi, responsabili HR, manager, sindacalisti e, in misura marginale, i governanti. Si subisce la tirannia del limitato, non di rado del tutto inesistente, tempo quotidiano disponibile, da dedicare al proprio benessere, fisico e intellettuale, a quello dei propri affetti, a partire dai familiari, nonché alla socialità. L’aspirazione a conciliare impegni lavorativi, familiari e sociali, attraverso anche il (limitato) tempo libero a disposizione, non rappresenta più una opzione per pochi, ma è diventata una necessità per tutti. Qualcuno ha salutato superficialmente l’introduzione dello smart working come un traguardo raggiunto, un’accelerazione verso l’agognato obiettivo, ma esso si è rivelato una fallace illusione. Indubbiamente, la riduzione del tragitto casa-lavoro e la maggiore possibilità di concentrarsi sul lavoro fuori ufficio hanno creato disponibilità di tempo, tuttavia non risolutivi. Senza contare che, nella maggior parte dei casi, far convivere, in spazi ristrettissimi, lavoro e vita familiare, spesso caotica sul piano organizzativo (si ricordino i figli in DAD!), ha mandato a gambe all’aria l’ambita balance. Anche perché, nel contempo, si è manifestata, nel lavoratore, una condizione psicologica di precarietà e di incertezza per il futuro. Si è compreso, comunque, che la balance non è uguale per tutti e che essa va ricercata, in maniera concreta, non solo tra lavoro e vita privata, ma, per ciascuno, anche nell’ambito della propria vita lavorativa, cioè nel “welfare aziendale”.
2. LA RIVOLUZIONE NELLE RELAZIONI INDUSTRIALI
La filosofia del “work life balance”, quindi, deve avere a fondamento una rinnovata e radicale concezione del lavoro, intesa come dimensione intangibile della persona umana, basata su una più avanzata organizzazione aziendale, su un nuovo rapporto lavoratore-impresa, su una maggiore consapevolezza di appartenenza al comune destino dell’impresa, avvertita come comunità, capace di corrispondere benefici non solo salariali, ma di welfare diffuso, e, infine, su una visione strategica, sempre in un’ottica comunitaria, del management. A una dialettica di scontro tra le parti, ormai consunta, mirata soltanto ai pur legittimi incrementi salariali, va sostituita una dialettica del confronto, della corresponsabilità e di una visione condivisa della produttività aziendale, identificata non solo con il fatturato e il mero profitto, ma come arricchimento del capitare umano, tramite benefit e servizi, a tutela, in primis, della sicurezza sul lavoro e della salute. Necessita, dunque, una radicale rivoluzione di mentalità, che porti a un’evoluzione delle relazioni industriali e sindacali, in chiave di welfare per tutti. A costo di far piazza pulita di privilegi occulti e di posizioni di potere, cumulati nelle rappresentanze dei datori di lavoro e dei lavoratori. Necessita, altresì, una nuova politica sociale, che seppellisca definitivamente il falso mito della lotta di classe e delle pseudo-rivoluzioni.
3. IL NUOVO WELFARE SANITARIO E LE PROPOSTE DI UNIMPRESA
Come documenteranno, per Unimpresa, tra gli altri, i relatori, Giovanni Assi e Marco Massarenti, risulta acclarato come il “welfare aziendale” sia in grandissima espansione, in quanto i lavoratori dipendenti sono sempre più disponibili a scambiare parte degli incrementi retributivi con diversi servizi di welfare in azienda. Dipendenti non soltanto di multinazionali o di grandi imprese, ma anche di medie e piccole, specie dopo l’esperienza dell’emergenza da coronavirus. Questa esperienza ha testimoniato come le imprese di qualsiasi dimensione hanno tutto l’interesse a tutelare la salute e il benessere dei propri dipendenti. La collaborazione tra le dirigenze aziendali e le rappresentanze sindacali ha inaugurato un’epoca nuova, nella quale la tutela del bene-lavoro rappresenta un obiettivo permanente e assoluto. Investire e reinvestire sulla componente lavoro significa garantire anche il futuro dell’azienda e la realizzazione dei suoi progetti industriali. Dal canto loro, le rappresentanze sindacali dovranno allinearsi a questa nuova visione del lavoro, che punta al benessere di tutti i lavoratori e non di una sola parte, da loro rappresentata. Un benessere che è simbiotico a quello dell’azienda e non in contrapposizione ad esso. Per quanto riguarda i costi pubblici sarà dimostrato come il “welfare aziendale” si traduce in un vantaggio, anche fiscale, per i lavoratori e le aziende, con ritorni positivi alle casse pubbliche. Nonché, per il “welfare sanitario”, nella collaborazione pubblico-privato, in un vantaggio sul sistema sanitario nazionale, in termini di efficienza e completezza di servizio, sia in sede preventiva che terapeutica. Le proposte conclusive di Unimpresa, dal punto di vista normativo e finanziario, per il sostegno alle politiche sociali di “welfare aziendale” saranno portare all’attenzione del governo, dei gruppi parlamentari e delle forze politiche nazionali, per superare lo stallo che si è verificato, dal 2019 ad oggi.
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