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Giuseppe Guida |
di Giuseppe Guida da La Repubblica Napoli
C'è una parola che oramai non si può più pronunciare in Italia e, per paradosso, ancora di più al Sud: abusivismo. O meglio, abusivismo edilizio. Perché i taxi abusivi ci sono e vengono contrastati, i medici abusivi e senza laurea sono certamente perseguiti, persino i musicisti di strada privi del permesso del Comune vengono quasi sempre fatti sloggiare dai vigili. Ma "abusivismo edilizio" è un'accezione pruriginosa e fastidiosa che oramai è poco tollerata, rimossa dal discorso pubblico e certamente assente nelle azioni amministrative concrete: controlli, sentenze, demolizioni. Un abuso edilizio smaccato si perde in un mondo e in anni di chiacchiere e carte, generate a vacante pur di non restituire al paesaggio e all'ambiente la propria dignità. Prendendo spunto dai circa 90mila capannoni industriali in disarmo e abbandonati che affollano la pianura veneta in quella che una volta era la cosiddetta "Terza Italia" della produzione. Michele Serra su questo giornale ha scritto: "Un po' ovunque, con poche eccezioni, l'Italia ha costruito sé stessa, e il proprio benessere, sulla base di un patto con la politica che funziona più o meno così: io ti voto, ti faccio fare il sindaco, il consigliere regionale, il deputato. In cambio, tu devi chiudere un occhio se evado le tasse, lo sai, no, che lo faccio solo per far quadrare i miei conti...
E devi lasciarmi costruire il mio capannone, e la mia casa, dove mi va, senza fare troppe storie. Lo sai, no, che lo faccio solo per il bene della mia famiglia...". In Campania la storia non è andata diversamente, con l'aggravio che non si tratta di un'aggressione al paesaggio finalizzata al produrre e al generare ricchezza, ma quasi sempre si tratta di un costruire di tipo parassitario, fatto di facili aggiramenti ed elusioni di norme (sui rifiuti, sul lavoro, sulla sicurezza) e di disperazione che trova da sempre il suo sfogo nella fraveca, perché, come dicono i francesi, "quand le béton va, tout va", chissenefrega del paesaggio, il problema lo =r dobbiamo risolvere ora, perii futuro c'è tempo. Che poi è la medesima logica con la quale si è inventata l'incredibile norma del famigerato 110%, che oltre a sperperare danaro pubblico, ha distorto il mercato e i prezzi dell'edilizia e lascerà lo strascico di migliaia di disoccupati quando l'affaire delle facciate finalmente sarà bloccato. Ritornando alla speculazione legata all'edilizia, circa il 50% circa di quello che è stato costruito in Campania dagli anni '80 in poi e che è considerato "autorizzato" non si sarebbe potuto realizzare se solo le norme fossero state correttamente applicate, se i piani regolatori e i regolamenti edilizi fossero stati redatti senza furbizie, se i rilasci dei permessi e i controlli fossero stati eseguiti con cognizione di causa e non in barba, spesso, alla logica e al buon senso. La morale o, meglio, la domanda è sempre la stessa: a che servono le amministrazioni pubbliche, in particolare quelle comunali, se non a difendere l'interesse collettivo? E l'interesse collettivo non è solo quello degli abitanti del comune. In molti casi è dell'intera nazione, se non dei tutto il mondo. Tutelare la Costiera Amafitana non è una questione relativa alle esigenze degli abitanti di Corbara, di Amalfi, di Positano. Tutt'Italia si terrà e guarderà per sempre i lunghi tratti di costa calabra martoriata da amministrazioni che non hanno fatto il lavoro per cui esistono. Persino molte leggi e "innovazioni" normative hanno derubricato quello che prima poteva considerarsi abusivo, a attività lecita, attivando anche una serie di cavilli che quasi mai consentono di definire qualcosa tout court abusivo: c'è sempre una pezza d'appoggio per fare quantomeno un ricorso ventennale e poi si vede. Con il risultato che rinfacciando a qualcuno di essere un abusivo, si corre il rischio di una querela, o di essere preso a male parole, come successo a qualche cronista ad Ischia. E allora è meglio starsi zitti e starsi fermi, allargando le braccia e allagando i tribunali amministrativi di ricorsi confusi dove si spacca il capello in quattro, e così via, verso gli ulteriori gradi di giudizio. In attesa, ovviamente, di un condono, l'arnese migliore per chiudere il cerchio del patto non detto tra politica e cittadini, o meglio, tra politicanti ed interessi privati. La conclusione è che abusivo è chi taccia gli altri di essere abusivi. O quantomeno un rompiscatole, perché le cose vanno così perché così sono sempre andate, e così devono andare: quand le béton va, tout va!
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