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martedì 6 dicembre 2022

Il commento. Se l'abusivismo diventa una parola tabù

Giuseppe Guida
di Giuseppe Guida da La Repubblica Napoli 

C'è una parola che oramai non si può più pronunciare in Italia e, per paradosso, ancora di più al Sud: abusivismo. O meglio, abusivismo edilizio. Perché i taxi abusivi ci sono e vengono contrastati, i medici abusivi e senza laurea sono certamente perseguiti, persino i musicisti di strada privi del permesso del Comune vengono quasi sempre fatti sloggiare dai vigili. Ma "abusivismo edilizio" è un'accezione pruriginosa e fastidiosa che oramai è poco tollerata, rimossa dal discorso pubblico e certamente assente nelle azioni amministrative concrete: controlli, sentenze, demolizioni. Un abuso edilizio smaccato si perde in un mondo e in anni di chiacchiere e carte, generate a vacante pur di non restituire al paesaggio e all'ambiente la propria dignità. Prendendo spunto dai circa 90mila capannoni industriali in disarmo e abbandonati che affollano la pianura veneta in quella che una volta era la cosiddetta "Terza Italia" della produzione. Michele Serra su questo giornale ha scritto: "Un po' ovunque, con poche eccezioni, l'Italia ha costruito sé stessa, e il proprio benessere, sulla base di un patto con la politica che funziona più o meno così: io ti voto, ti faccio fare il sindaco, il consigliere regionale, il deputato. In cambio, tu devi chiudere un occhio se evado le tasse, lo sai, no, che lo faccio solo per far quadrare i miei conti...


 

E devi lasciarmi costruire il mio capannone, e la mia casa, dove mi va, senza fare troppe storie. Lo sai, no, che lo faccio solo per il bene della mia famiglia...". In Campania la storia non è andata diversamente, con l'aggravio che non si tratta di un'aggressione al paesaggio finalizzata al produrre e al generare ricchezza, ma quasi sempre si tratta di un costruire di tipo parassitario, fatto di facili aggiramenti ed elusioni di norme (sui rifiuti, sul lavoro, sulla sicurezza) e di disperazione che trova da sempre il suo sfogo nella fraveca, perché, come dicono i francesi, "quand le béton va, tout va", chissenefrega del paesaggio, il problema lo =r dobbiamo risolvere ora, perii futuro c'è tempo. Che poi è la medesima logica con la quale si è inventata l'incredibile norma del famigerato 110%, che oltre a sperperare danaro pubblico, ha distorto il mercato e i prezzi dell'edilizia e lascerà lo strascico di migliaia di disoccupati quando l'affaire delle facciate finalmente sarà bloccato. Ritornando alla speculazione legata all'edilizia, circa il 50% circa di quello che è stato costruito in Campania dagli anni '80 in poi e che è considerato "autorizzato" non si sarebbe potuto realizzare se solo le norme fossero state correttamente applicate, se i piani regolatori e i regolamenti edilizi fossero stati redatti senza furbizie, se i rilasci dei permessi e i controlli fossero stati eseguiti con cognizione di causa e non in barba, spesso, alla logica e al buon senso. La morale o, meglio, la domanda è sempre la stessa: a che servono le amministrazioni pubbliche, in particolare quelle comunali, se non a difendere l'interesse collettivo? E l'interesse collettivo non è solo quello degli abitanti del comune. In molti casi è dell'intera nazione, se non dei tutto il mondo. Tutelare la Costiera Amafitana non è una questione relativa alle esigenze degli abitanti di Corbara, di Amalfi, di Positano. Tutt'Italia si terrà e guarderà per sempre i lunghi tratti di costa calabra martoriata da amministrazioni che non hanno fatto il lavoro per cui esistono. Persino molte leggi e "innovazioni" normative hanno derubricato quello che prima poteva considerarsi abusivo, a attività lecita, attivando anche una serie di cavilli che quasi mai consentono di definire qualcosa tout court abusivo: c'è sempre una pezza d'appoggio per fare quantomeno un ricorso ventennale e poi si vede. Con il risultato che rinfacciando a qualcuno di essere un abusivo, si corre il rischio di una querela, o di essere preso a male parole, come successo a qualche cronista ad Ischia. E allora è meglio starsi zitti e starsi fermi, allargando le braccia e allagando i tribunali amministrativi di ricorsi confusi dove si spacca il capello in quattro, e così via, verso gli ulteriori gradi di giudizio. In attesa, ovviamente, di un condono, l'arnese migliore per chiudere il cerchio del patto non detto tra politica e cittadini, o meglio, tra politicanti ed interessi privati. La conclusione è che abusivo è chi taccia gli altri di essere abusivi. O quantomeno un rompiscatole, perché le cose vanno così perché così sono sempre andate, e così devono andare: quand le béton va, tout va!

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