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mercoledì 16 agosto 2023

Il mare non è proprietà privata

di
Ottavio Ragone La Repubblica Napoli

Il mare trasformato in una proprietà privata è una delle grandi anomalie italiane, che a Napoli e provincia tocca vette molto alte. Questo stato di cose dura da decenni e non riguarda solo la Campania, ma soprattutto a partire dal Covid ha assunto le proporzioni di una gigantesca, odiosa discriminazione sociale. Chi può permettersi di pagare si gode il sole e il mare. Chi non può deve accontentarsi dei pochissimi lidi gratuiti e spesso non riesce nemmeno a raggiungere le spiagge con i trasporti pubblici, specie se vive in periferia. Fa male vedere centinaia di persone, intere famiglie con figli piccoli, fare il bagno nel mare inquinato di San Giovanni a Teduccio: ma quale alternativa hanno? Tapparsi in casa e patire il caldo? Si può dire che - un po' come accadde per le speculazioni finanziare legate all'introduzione dell'euro nel 2002 - le limitazioni introdotte per fronteggiare l'epidemia del Coronavirus sono state l'ultimo pretesto per aumentare ulteriormente le tariffe già alte per l'accesso ai lidi. Sicché oggi, per accedere a una spiaggia "privatizzata", una famiglia di quattro persone spende almeno cento euro al giorno tra lettini, sdraio e ombrellone. Poiché gli stabilimenti a pagamento hanno occupato la maggior parte della nostra costa da Caserta a Sorrento, dal litorale domizio fino a Massa Lubrense, riducendo al massimo le aree destinate alla balneazione pubblica, la questione ha assunto i tratti di una evidente speculazione, con profili di vere e proprie illegalità, anche dal punto di vista fiscale. Non è casuale dunque l'indagine della Procura della Corte dei conti, anticipata su questo giornale da Alessio Gemma. La Guardia di Finanza ha chiesto all'Autorità portuale, che detiene le concessioni balneari e incassa i canoni, di acquisire atti e documenti. I canoni sono notoriamente irrisori, con poche centinaia di euro mensili se ne guadagnano migliaia e migliaia in una sola stagione, organizzando anche eventi spettacolari o serate stile discoteca o ristorazione, spesso tutto l'anno. Insomma il possesso - perché di questo ormai si tratta - di un tratto di costa permette guadagni pazzeschi e al tempo stesso inibisce il libero accesso al mare dei cittadini, che non hanno alcuna intenzione di sborsare cifre esagerate per due lettini e un ombrellone.

  La recinzione di un pezzo di territorio a proprio uso e consumo è un atteggiamento quasi feudale, purtroppo generalmente tollerato. Le norme europee che impongono gare pubbliche per le concessioni in Italia finora sono state bloccate dalla pressione della lobby degli stabilimenti. Ora, è indubbio che i gestori dei lidi si sono accollati rilevanti investimenti nel corso degli anni, così come è ovvio che una libera attività imprenditoriale va salvaguardata e crea lavoro e ricchezza. Ma oggi le tariffe sono davvero spropositate, tagliano fuori la popolazione più disagiata e i giovani, creando una invalicabile barriera sociale. Bene ha fatto il Comune di Napoli, nei giorni scorsi, a garantire ombrelloni gratuiti anche al lido pubblico di Bagnoli, dopo via Caracciolo. Così come dall'anno prossimo andrà ampliata l'esigua rete dei lidi pubblici cittadini, con un sistema di pedane rimovibili sul lungomare, e docce pubbliche. Questo è un tratto di civiltà, che rafforzerebbe l'offerta turistica a Napoli. Dunque bisogna intervenire con decisione su più fronti, e tutti i Comuni costieri sono chiamati a farlo, per garantire uguali diritti ai cittadini. Oggi ogni limite è stato superato. Nessuno, neanche il titolare di una concessione, può arrogarsi il diritto di vietare un tratto di costa e di impedire l'accesso al mare, anche a chi non voglia usufruire dei servizi garantiti dal lido. Sembra superfluo ricordarlo, ma è utile: la spiaggia è un bene pubblico demaniale anche quando viene assegnata in concessione a uno stabilimento. L'accesso alla battigia nella fascia di cinque metri dal mare - è sempre libero e gratuito. È la legge, non un colpo di sole a Ferragosto.

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