Il mare trasformato in una
proprietà privata è una delle grandi anomalie
italiane, che a Napoli e provincia tocca vette
molto alte. Questo stato di cose dura da
decenni e non riguarda solo la Campania, ma
soprattutto a partire dal Covid ha assunto le
proporzioni di una gigantesca, odiosa
discriminazione sociale. Chi può permettersi
di pagare si gode il sole e il mare. Chi non può
deve accontentarsi dei pochissimi lidi gratuiti
e spesso non riesce nemmeno a raggiungere
le spiagge con i trasporti pubblici, specie se
vive in periferia. Fa male vedere centinaia di
persone, intere famiglie con figli piccoli, fare il
bagno nel mare inquinato di San Giovanni a
Teduccio: ma quale alternativa hanno?
Tapparsi in casa e patire il caldo? Si può dire
che - un po' come accadde per le speculazioni
finanziare legate all'introduzione dell'euro nel
2002 - le limitazioni introdotte per
fronteggiare l'epidemia del Coronavirus sono
state l'ultimo pretesto per aumentare
ulteriormente le tariffe già alte per l'accesso
ai lidi. Sicché oggi, per accedere a una
spiaggia "privatizzata", una famiglia di quattro
persone spende almeno cento euro al giorno
tra lettini, sdraio e ombrellone. Poiché gli
stabilimenti a pagamento hanno occupato la
maggior parte della nostra costa da Caserta a
Sorrento, dal litorale domizio fino a Massa
Lubrense, riducendo al massimo le aree
destinate alla balneazione pubblica, la
questione ha assunto i tratti di una evidente
speculazione, con profili di vere e proprie
illegalità, anche dal punto di vista fiscale. Non
è casuale dunque l'indagine della Procura
della Corte dei conti, anticipata su questo
giornale da Alessio Gemma. La Guardia di
Finanza ha chiesto all'Autorità portuale, che
detiene le concessioni balneari e incassa i
canoni, di acquisire atti e documenti. I canoni
sono notoriamente irrisori, con poche
centinaia di euro mensili se ne guadagnano
migliaia e migliaia in una sola stagione,
organizzando anche eventi spettacolari o
serate stile discoteca o ristorazione, spesso
tutto l'anno. Insomma il possesso - perché di
questo ormai si tratta - di un tratto di costa
permette guadagni pazzeschi e al tempo
stesso inibisce il libero accesso al mare dei
cittadini, che non hanno alcuna intenzione di
sborsare cifre esagerate per due lettini e un
ombrellone.
La recinzione di un pezzo di territorio a proprio uso e consumo è un atteggiamento quasi feudale, purtroppo generalmente tollerato. Le norme europee che impongono gare pubbliche per le concessioni in Italia finora sono state bloccate dalla pressione della lobby degli stabilimenti. Ora, è indubbio che i gestori dei lidi si sono accollati rilevanti investimenti nel corso degli anni, così come è ovvio che una libera attività imprenditoriale va salvaguardata e crea lavoro e ricchezza. Ma oggi le tariffe sono davvero spropositate, tagliano fuori la popolazione più disagiata e i giovani, creando una invalicabile barriera sociale. Bene ha fatto il Comune di Napoli, nei giorni scorsi, a garantire ombrelloni gratuiti anche al lido pubblico di Bagnoli, dopo via Caracciolo. Così come dall'anno prossimo andrà ampliata l'esigua rete dei lidi pubblici cittadini, con un sistema di pedane rimovibili sul lungomare, e docce pubbliche. Questo è un tratto di civiltà, che rafforzerebbe l'offerta turistica a Napoli. Dunque bisogna intervenire con decisione su più fronti, e tutti i Comuni costieri sono chiamati a farlo, per garantire uguali diritti ai cittadini. Oggi ogni limite è stato superato. Nessuno, neanche il titolare di una concessione, può arrogarsi il diritto di vietare un tratto di costa e di impedire l'accesso al mare, anche a chi non voglia usufruire dei servizi garantiti dal lido. Sembra superfluo ricordarlo, ma è utile: la spiaggia è un bene pubblico demaniale anche quando viene assegnata in concessione a uno stabilimento. L'accesso alla battigia nella fascia di cinque metri dal mare - è sempre libero e gratuito. È la legge, non un colpo di sole a Ferragosto.
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