di Filomena Baratto
Relazionarsi è un’impresa ardua. Spesso viviamo solo nella nostra testa. Lì restano i discorsi, un parlamento di voci in lotta. Ogni giorno partoriamo idee, giuste o sbagliate che siano, su cui costruiamo la nostra vita. Molti hanno la presunzione di credersi infallibili, affidandosi alla ragione, ai calcoli, ai fatti. Ma proprio la ragione produce fallimenti, delusioni, avversioni, negligenze. Tutto si basa sul dialogo: parlo io, parli tu, ci comprendiamo, prendiamo decisioni. A volte ci comportiamo sull’onda delle emozioni o delle avversioni, delle paure, escludendo il confronto, lasciando spazio alle varie possibili interpretazioni dei fatti e deduzioni sbagliate. Le parole sono uno strumento formidabile ma le usiamo più per ferire che per spiegarci. Il nostro orgoglio preclude alla parola il suo vero uso: svelare le angustie del nostro animo, alleggerire le pressioni interiori, manifestarci agli altri. Ragioniamo pressappoco così: “E’ inutile dire questa cosa, perchè la sa già!” Oppure: “Glielo devo dire io che le cose stanno in questi termini?” O anche: “E’ un suo dovere sapere, perchè devo spiegarglielo io?” Queste sono le frasi orgogliose, che impediscono qualsiasi tipo di confronto. Noi non siamo il centro del mondo. Siamo anche il risultato delle parole non dette, evitate, siamo per metà quello che abbiamo creduto, quello che non abbiamo voluto vedere o sentire. Le relazioni, i rapporti soprattutto con le persone della nostra sfera, funzionano così.
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