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giovedì 29 febbraio 2024

I Promessi Sposi

di Filomena Baratto

I cari Promessi Sposi di Alessandro Manzoni non vanno mai in pensione. Facciamo uso di frasi e nomi dell’opera nel bel mezzo di un discorso o chiacchierata come se stessimo parlando di parenti. Ritornano il famoso “vaso di terracotta costretto a viaggiare in compagnia di altri di ferro” riferito a Don Abbondio, il “non fare la monaca di Monza”, parlando di Gertrude, “sembri il Nibbio o il Griso”, o l’abusato “Innominato” riferendoci a qualcuno che non vogliamo menzionare. Parliamo dei personaggi come fossero antenati, zii da commemorare, così di episodi precisi riportandoli al nostro tempo. Un indiscutibile grande romanzo storico che caratterizza il nostro panorama letterario. Ebbe quattro edizioni, dal 1827 al 1840. Comincia con un matrimonio che “non s’ha da fare né domani, né mai!” per bocca dei bravi che si presentano a Don Abbondio che “tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre dell'anno 1628”, per intimargli di non celebrare le nozze, il giorno dopo, tra Renzo e Lucia. Inconfondibile l’ incipit, tra i più famosi e riconoscibili della storia della letteratura: “Quel ramo del lago di Como, che volge a mezzogiorno, tra due catene non interrotte…” La prima redazione risale al 1823 col titolo Fermo e Lucia, nel 1827 esce la seconda stesura dal titolo I Promessi Sposi, detta la ventisettana, fino all’edizione definitiva nel 1840. Il romanzo è ambientato nella campagna lombarda tra il 1628 e il 1630, durante la dominazione spagnola in Italia. L’autore trova l’espediente di un manoscritto risalente al XVII secolo da cui trae spunto per la storia. La società è ancora quella della nobiltà feudale con un clero potente e invadente e una parte di società che cerca di gabbare il popolo attraverso la cultura come mezzo di sottomissione. Trentotto capitoli ricchi di avventure, azioni, storie nella storia. I personaggi sono dipinti tracciandone vizi e virtù di ciascuno con toni chiaroscuri per lasciare emergere quanto più possibile la verità. Si attraversano i grandi eventi del periodo, con un realismo alla ricerca della verità e della storicità. Il narratore è onnisciente e procede tra giudizi morali e ironia spesso aggressiva, mettendo un certo distacco tra l'autore e la materia trattata.

 

Una sorta di equilibrio tra i fatti reali e la narrazione soggettiva dell’autore. Si riconoscono, al suo interno, rapporti di forza, analisi di una realtà fatta di azioni e reazioni, contrasti con punti di vista psicologico, materiale e morale. Tutto trova una giustificazione nei piani della Provvidenza e tutto si ricostruisce attraverso la conoscenza del bene e del male. I personaggi, poli di forza del romanzo, sono immersi in uno scenario storico fatto di guerra, peste e carestie. Realismo e tensione emergono per tutto il romanzo. Sin dalle prime pagine abbiamo una caratterizzazione ben precisa del personaggio di Don Abbondio, un pusillanime, ignavo, incapace di prendere alcuna iniziativa, frenato dalla paura e privo di ogni contributo da parte sua. Accanto al curato si erge Perpetua, la donna che cura la canonica, abile a trovare soluzioni, impicciona, sempre a confabulare. La protagonista è Lucia, la ragazza di paese che ama Renzo in modo devoto e sincero. Il suo promesso è un ragazzo del popolo, semplice, buono, gran lavoratore. E poi ancora Agnese, madre di Lucia, donna concreta. Il personaggio prepotente è incarnato da Don Rodrigo, signorotto della nobiltà feudale, e poi la figura lugubre e tragica dell’Innominato, atto alla violenza, che supporta le malefatte di Don Rodrigo, per il quale farà rapire Lucia. Tra le altre figure del mondo ecclesiastico, oltre a Don Abbondio, abbiamo Padre Cristoforo, la monaca di Monza, il Cardinale Federigo Borromeo. Della gerarchia ecclesiastica Federigo Borromeo rappresenta il volto buono, che tende al bene con autentica nobiltà d’animo. Accanto a questi personaggi principali ne ruotano altri importanti e meno, tutti inconfondibili, diventati simboli ora del bene ora del male: i bravi, Azzeccagarbugli, il Conte zio, il Griso, il Nibbio, l’oste, Donna Prassede, Don ferrante, il gran cancelliere Ferrer… La genesi del romanzo fu una lunga gestazione nata negli ambienti culturali tra Milano e Parigi. L’autore fu a contatto con l’illuminismo francese. Numerosi i romanzi confluiti poi nei Promessi Sposi, tra cui La nouvelle Eloise di Rousseau, La Religieuse di Diderot, l’Adolphe di Constant. Al Manzoni interessò il romanzo psicologico per gli aspetti genuini e demoniaci come Clarissa di S. Richardson. Un motivo ritornante nella letteratura settecentesca era quello satanico valorizzando il ribellismo di Lucifero e l’eroismo malefico. Di questa lunga tradizione fanno parte: I masnadieri di Schiller, dove il personaggio Karl Moor incarna l’enigma del bene e del male in una rivolta contro l’ingiustizia; Messiade di Klopstock, una severa condanna illuministica di società corrotta; Il corsaro di Lord Byron, dove troviamo l’eroe demoniaco tra le ribalderie presenti e il rimorso del passato; e ancora Le relazioni pericolose di Choderlos di Laclos, La filosofia del Boudoir del Marchese De Sade… Accanto al motivo della seduzione c’è poi anche quello della persecuzione con: Il castello d’Otranto di Horance Walpole, Il monaco di G.M.Lewis, Melmoth l’errante di C.R.Maturin. Il Manzoni s’immerse in queste letture, desideroso di nuovi spunti. Tra gli altri predilesse il romanzo di Tommaso Grossi, Marco Visconti, dove il protagonista ama Bice e la perseguita ma Bice, a sua volta, è innamorata di Ottorino. Si riscontra qui un’analogia tra la cavalcata notturna del protagonista, folle di gelosia per Bice, e Don Rodrigo di Fermo e Lucia trascinato a morte da un cavallo imbizzarrito. Dopo la conversione, il Manzoni non accettò tutta la letteratura francese e si faceva scrupolo di liberarsi di alcune opere non consone alla sua nuova condizione di credente. Per quanto riguarda la monaca di Monza è lampante l’analogia con La religieuse di Diderot. In entrambe le opere le novizie prendono i voti forzatamente, ma mentre Diderot incolpa il monastero per le sevizie della suora, il Manzoni fa ricadere la colpa su Gertrude. Entrambi usano “scomposta” riferito a bellezza, con un uso prettamente estetico in Diderot, con un carattere psicologico che traccia l’incoerenza dell’animo e l’incostanza del carattere in Manzoni. Alla fine le due opere sono completamente antitetiche, in comune solo la monacazione forzata, con una tragedia umana e morale in Manzoni che Diderot ignora del tutto. Nella creazione del personaggio di Egidio, amante della Monaca di Monza, hanno contribuito il personaggio di Lovelace della Clarissa di Richardson e il Dolmancè di De Sade. Mentre il Dolmancè spiega a Eugenie che non vi è alcuna azione che sia veramente criminale e nessuna che possa dirsi virtuosa, Egidio inculca a Gertrude che tutto ciò che lo aveva portato alla violenza e alla perfidia era un’invenzione dell’astuzia, un’arte per godere a spese altrui. Padre Cristoforo, nello sfidare Don Rodrigo, ricorda l’abate Clerville che affronta il signor Franval in De Sade e ancora i rintocchi delle campane che scuotono Franval ricordano lo scampanare che colpì l’Innominato nella terribile notte della sua conversione. Nella letteratura francese le monacazioni forzate, la corruzione del clero, la cupidigia dei preti rispondono a un’esigenza denigratoria e scandalistica, mentre per il Manzoni a un’intima esigenza di erudire la moltitudine, per avvicinarla al bello e all’utile. Il Manzoni riconosceva all’uomo i valori di libertà della ragione ma ne moderava l’azione con i precetti morali e le norme evangeliche. Pur partendo da un concetto illuministico d’indipendenza del singolo, respingeva la totale emancipazione. C’è nell’Innominato un processo di riscatto dalla prepotenza a differenza del personaggio Karl Moor nei Masnadieri di Schiller e del Corsaro di Byron, dove non c’è alcuna possibilità di conversione. Il Manzoni procede a un’opera di restauro sociale religioso concedendo la Provvidenza per cui la sventura è provvida, come dirà nel coro dell’Ermengarda, come prova voluta da Dio. Il romanzo non è una propaganda religiosa, come affermava Moravia, ma profondo sentimento religioso che aiuta l’autore a compatire l’uomo, come certezza di fede e volontà di redenzione cristiana.

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