«In ogni menu che si rispetti va prevista. Chi non lo capisce è solo un provinciale»
di Luciano Pignataro – Il Mattino
Vico Equense - Chi sentire per un volume sulla pasta del Mattino se non Peppe Guida? Quando tutto il mondo gastronomico ha iniziato ad avvitarsi su se stesso, mentre il mangiare al ristorante cominciava a diventare "una esperienza", lo chef di Nonna Rosa a Vico Equense stellato dal 2007, ha invertito la rotta diventando l'alfiere della cucina tradizionale. Cambio di direzione non nuovo nella sua carriera: «Il mio rapporto con la ristorazione -racconta - inizia aprendo una rosticceria a Vico Equense nella quale veniva servita anche la pizza, simile a quella proposta, all'epoca molto famosa, dal vicino Gigino. Le cose andavano bene, ma a partire dal 1997 abbiamo avuto voglia di crescere. Quindi prima abbiamo iniziato ad affiancare un po' di carne, poi un giorno del 1998 presi il piccone e distrussi il forno delle pizze. Sentivo dentro la voglia di dare qualcosa in più. Iniziammo allora a proporre una vera osteria di paese con i piatti classici della nostra tradizione contadina della Penisola Sorrentina che, come sai, è molto forte». Come andò? «All'inizio perdemmo gran parte della clientela, ma mia moglie Lella mi incoraggiò ad andare avanti e questa sua determinazione fu molto importante per me e infatti migliorammo la qualità della clientela e riempimmo di nuovo la sala. La vera svolta avviene nel 2004, quando rimoderniamo il locale, il lino bianco sostituisce la classica tovaglia, entra il sommelier e iniziamo a proporre nuovi piatti più puliti e meno scontati. Un vero salto nel vuoto, ma era il momento della Penisola Sorrentina e subito le cose iniziarono ad andare bene e, per fortuna, dopo soli tre anni, nel 2007 ottenemmo la stella Michelin che da quel momento abbiamo sempre conservato».
Il tuo menu è un vero e proprio festival della pasta. «Assolutamente si, io ho sei piatti di pasta e uno di riso perché la pasta vuol dire Napoli, vuol dire Italia, è quello che si aspettano di mangiare le migliaia di visitatori stranieri che ogni anno ci vengono a trovare. Il riso è un alimento comunque a tutti e cinque i continenti, diventa italiano solo con la tecnica del risotto, ma il vero segno che stai in una cucina italiana è quando arriva la pasta a tavola, secca ma anche fresca». Eppure vediamo tanti giovani che quando si trovano di fronte ad un giornalista per dimostrare di essere bravi presentano sempre un risotto. Anche nelle cerimonie pubbliche. Come mai secondo te? «E' il classico fenomeno di provincialismo alla rovescia: per dimostrare di non essere cuochi provinciali si propongono cose che vengono da fuori, magari da lontano Ma questo atteggiamento in realtà dimostra una scarsa attenzione a quello che avviene davvero nel mondo dell'alta ristorazione dove i veri grandi scavano nel proprio patrimonio gastronomico territoriale arrivando a proporre cibi una volta impensabili nel fine dining». Forse anche perché la pasta bisogna davvero saperla fare. «C'è sicuramente anche questa considerazione. Presentare un piatto di pasta a tavola significa ancora mettersi in competizione con la cucina della mamma o della nonna, perché 99 italiani su 100, sono i dati diffusi ieri, la mangiano regolarmente. Il risotto invece è meno comune quando scendiamo sotto il Po, ma direi anche sopra ormai». Quale altro luogo comune possiamo rovesciare oggi? «Non è vero che presentare una cucina semplice abbassa il livello della clientela, al contrario, una cucina ben eseguita, ben presentata e soprattutto fatta con prodotti senza chimica, attrae la parte migliore della clientela possibile, soprattutto straniera ma anche italiana. Ovunque oggi c'è attenzione a questo aspetto, a mettere insieme gusto e salute» La scarsa reputazione della pasta in parte della cucina d'autore non dipende forse dal fatto che è diventato un mondo autoreferente? «Non credo ci sia una sola ragione. Il motivo principale è sicuramente il fatto che la cucina, come la moda, deve continuamente stupire per poter fare notizia. Ma siccome è più facile giocare con le forme che con la sostanza, ecco che molti hanno iniziato a cercare colpi ad effetto per stupire. Un altro elemento è nel fatto che ormai a certi livelli si cucina per gli occhi e non per la gola: i piatti devono andare in televisione, oppure devono essere postati su Instagram. Quindi non ci si preoccupa più di tanto di far godere i clienti che invece deve essere sempre al centro del nostro lavoro. La gente è disposta a spendere, ma deve uscire soddisfatta dal ristorante altrimenti non torna». C'è un ritorno alla trattoria, all'agriturismo, alla pizza. Insomma alla semplicità. Motivi economici o stanchezza? «Sicuramente non tutti si possono permettere di pagare 100, 200 o anche 300 euro per una cena. Ma non è questione di costo, quanto di gusto. La nostra cucina è ricca di ricette straordinarie in tutte le regioni, adesso però tanti piatti non si fanno più a casa per motivi di tempo e soprattutto perché ormai è cambiato il dna della struttura familiare che aveva radici rurali. Oggi per mangiare un buon ragù napoletano o una genovese si deve solo andare fuori, dunque la tradizione è diventata una novità per le giovani generazioni che dimostrano di apprezzare, anche le ultimissime che non hanno memoria in famiglia di questi piatti». Dunque la pasta è un'arma segreta che solo i cuochi italiani hanno a disposizione? «Beh, direi che tutti i bravi cuochi possono avere a disposizione. La pasta si presta alla ricerca e ci sono tanti piatti buoni che non appartengono alla tradizione. Quando vado in certi locali che hanno ambizioni e non vedo la pasta in menu penso sempre a quelle squadre che hanno un calcio di rigore e lo tirano fuori, a porta vuota».
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