di Filomena Baratto
L'aereo mi mette ansia. L'ultima volta, anche se con apprensione, ho cercato di scalzare la paura distraendomi con la lettura e guardando fuori dall'oblò. Ero circondata da nuvole: soffici, ampie, l’una sull’altra. Tutto sommato era un autobus che sfilava nell’aria o anche una nave in mezzo al mare. Della terra non si aveva visione, se non di tanto in tanto, quando usciva un pezzettino di verde in una nuvola più leggera, per poi perdersi tra gli strati sovrapposti. Il pensiero di sorvolare sulle città, le abitazioni, le persone, faceva una certa impressione. Il display di fronte riportava la rotta seguita passando per Roma, Firenze, Milano... Immaginavo in quel momento la vita a terra: ora di punta, uscita dal lavoro, il traffico cittadino, le corse per la spesa, il rientro, la cena, gli incontri, gli amici, le passeggiate, mentre noi seduti, con lo sguardo ai nostri telefonini, libri, aspettavamo di arrivare a destinazione. Le ali del veicolo, spiegate alla mia destra così a sinistra, mi ricordavano che l’aereo simulava il volo dell’uccello che migra da una parte all’altra del mondo cercando gli habitat più consoni. Anche noi migravamo da una parte all’altra dell’Europa. In un paio d'ore si cambia fuso orario, giungendo in un luogo lontano dalle nostre abitudini e stili di vita. E volando ho rivisto il mito di Scilla, che tradì il padre Niso strappandogli il capello purpureo per amore di Minosse e causandogli la morte. Fu poi trasformato in avvoltoio mentre sua figlia, rifiutata da Minosse, finì in mare diventando un airone. Dall’alto la vita è più leggera, senza affanni, libera. Volare implica solitudine, strappati al resto, soli con le nostre rotte mentali. La vita deve sempre avere una meta, un obiettivo, un punto cui tendere. Vivere per vivere trasportati dagli eventi, secondo le correnti, ci predispone a cadute e avversità. Dobbiamo procedere come il volo, verso un punto preciso con idee chiare, concentrandoci sulla meta. Le nuvole intorno si aggregavano e si diradavano al nostro passaggio, creando un labirinto tra batuffoli e grossi animali che cambiavano forma col procedere degli altistrati e i cumuli.
Avvicinandoci alla destinazione e cominciando a scendere di quota, le nuvole avevano qualcosa dello zucchero filato, lasciando intravedere, tra l'una e l’altra, qualche elemento del paesaggio sottostante. Continuando nella discesa prendeva forma il suolo, la pista di atterraggio, col ritorno alla vita, lasciando tra le nuvole il pensiero libero ispirato dall'altitudine e da quell'ammasso avvolgente di spuma bianca. Le terre assumevano varie sfumature, emergevano i campi a forma di rettangolo o di trapezio, le case tutte in fila, raggruppate nei parchi pieni di verde, poco distante il fiume, il ponte, i palazzi più alti. Atterrando il tempo ha ripreso a scorrere, con le ansie della partenza: ciò che bisognava fare usciti dall’aeroporto, il clima cambiato, la stanchezza che saliva al viso, il bisogno di alzarsi da quella posizione. Guardare dall’alto è facile, ci si erge a maestri, ma è scendere tra gli altri più difficile, quando ci si pone al lato degli uomini e si fanno le stesse cose. Dall’alto può avere i suoi vantaggi, tutto è più chiaro da comprendere, ma è immettersi nella realtà che crea fatica. La vita è porsi accanto.
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