di Vincenzo Iurillo - Il Fatto Quotidiano
Napoli - Il tavolo per cenare da Crazy Pizza a Napoli, ovvero da Flavio Briatore atterrato alle falde del Vesuvio per insegnare come si fanno e come si vendono le pizze ai napoletani, si prenota sulla loro pagina Facebook. Come una qualsiasi pizzeria "da Peppino" o "da Antonio" da 10 euro dell'entroterra partenopeo. Con un paio di clic conquisti due posticini per la sera del 19 settembre. Giovedì, due sere dopo l'inaugurazione in pompa magna, dovrebbe essere una serata tranquilla. E te li tieni stretti, nonostante la febbre, perché hai appena ascoltato Briatore affermare a una radio che non c'è più un buco libero fino a ottobre. Intanto, forse per essere sicuri che la prenotazione non sia stata fatta da un bot, gli addetti del Crazy Pizza ti telefonano qualche ora prima per farsela confermare a voce. "Lo facciamo sempre". Tavolino preso per le 20, anche perché l'altro orario libero era quello delle 23. Maledizione alla bufera di pioggia, al traffico, alla Circumvesuviana che salta le corse, al G7 cultura che ha semi-paralizzato Napoli nella morsa dei divieti di sosta: arriviamo alle 20.25. "Non c'è problema - spiega una gentile e avvenente caposala, il cui sorriso ti farebbe dimenticare un lutto - l'unica cortesia è che dovrete liberare il tavolo entro e non oltre le 21.45 per la prenotazione successiva. Ci dispiace che non potrete stare con noi a lungo".
È colpa nostra, annuiamo senza fiatare. E qui apriamo un inciso. Per usare un eufemismo, l'apertura del Crazy Pizza a Napoli non è stata accompagnata dagli applausi di un concerto di violini. Qui esiste da tempo immemore una disputa ideologica tra chi difende la sacralità della pizza napoletana, alta e soffice, e intoccabile nelle sue caratteristiche basiche di preparazione e cottura, e chi invece si dichiara aperto ad altre esperienze e aspettava curioso la pizza "sottile" caratteristica dei locali della catena dell'imprenditore di Cuneo. Briatore, con la grazia dell'elefante nel negozio di cristalli e il garbo dell'ateo che bestemmia in Chiesa, in un'intervista alla Zanzara si è scagliato contro la pizza della tradizione napoletana "con quel cordone intorno, che sembra un chewing gum". A parte che, come gli ha fatto notare lo chef Mori, quello che lui chiama "cordone" si chiama invece "cornicione" - e c'è chi come il sottoscritto lo divora con la stessa avidità del resto della pizza. Paragonare il prodotto simbolo di Napoli alla gomma americana non è sembrata una mossa di marketing geniale: il napoletano, si sa, se gli tocchi le cose care alla sua territorialità, è permaloso. Ma è stato l'unico errore di una campagna promozionale tutto sommato riuscita, Briatore in genere ci sa fare. Per giorni l'imminente apertura di Crazy Pizza ha occupato i piani alti dei quotidiani e dei siti locali. A Gimmo Cuomo del Corriere del Mezzogiorno il merito dello scoop di chi ha annunciato per primo la data, martedì 17, "contro la scaramanzia napoletana che né di venere né di marte non si sposa non si parte e non si dà principio all'arte". Intanto ci siamo finalmente seduti. Pareti di un bordeaux accecante, pieni di quadretti di star hollywoodiane (anche maschili) che addentano tranci di pizza, alcuni francamente inguardabili (i tranci, non le star). Quadretti di questo tipo pure negli antibagni. Tra una Sophia Loren, una Sarah Jessica Parker, una Julia Roberts e una Emily Ratajkowski, spunta sul lato opposto al nostro una radiosa Elisabetta Gregoraci, la ex di Briatore. In alto, su tutti, Silvio Berlusconi in versione sorriso Mao Tse Tung e la pizza tra le mani. Un tabernacolo.Lampade in stile Ikea, tavolini stretti e disseminati per ottimizzare lo spazio, i camerieri faticano a trovare percorsi semplici. Sono giovani, napoletani, sembrano inesperti. Si fanno perdonare grazie a un tasso di premure superiore alla media. Ti senti coccolato e non è poco. Anche se per avere la password del wi-fi bisogna chiederla due volte, la prima risposta era sbagliata: pazienza. Acqua frizzante in bottiglia di vetro, coca cola, una birretta Ichnusa e finalmente si mangia. Le patate al tartufo e al formaggio arrivano subito e sono squisite nelle loro salsine di accompagnamento. La pizza margherita da 17 euro, quella sulla quale sono state spese paginate e quintali di polemiche, invece no. È una normale, banale, scontata pizza di quelle sottilissime, alla romana che si sbriciolano al tatto, che hanno un senso se la ordini e la consumi a Trastevere. A Napoli no. Molto più buona la pizza profumata: la differenza la fanno gli ingredienti, il pomodoro più ricercato: ci sono 8 euro in più da spendere, e li valgono. Alle 21 nel tripudio del brano Cocorito, dalle cucine sbucano i pizzaioli per il balletto coreografato con la pizza bianca lanciata e roteata in alto. È di stoffa, non fatevi ingannare. Infine il tiramisù: Andrea (bravissimo! ) ve lo prepara al momento, davanti ai vostri occhi, bagnando i pavesini nel caffè e il mascarpone e tutto il resto. Molto buono, come quello della nonna.Alle 21.45 come da patti arriva il conto senza averlo chiesto perché il tavolo va liberato. Sono soltanto 102 euro e 50 centesimi in due. "Siete stati bene? " Una favola. Ne valeva la pena? Secondo noi, per chi può permetterselo, sì. Ci siamo divertiti, il locale mette di buon umore, e si esce con gli occhi stralunati del marziano appena sceso sulla Terra a osservare gli strani usi e costumi di un popolo da scoprire: il popolo di chi va a mangiare una pizza appena appena sufficiente e farsi svuotare il portafoglio, per poi correre a postare le foto sui social e scrivere fieri "io sono stato al Crazy Pizza"!
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