di Paolo Grassi - Il Corriere del Mezzogiorno
«Quel che importa non è vincere o perdere, ma accettare serenamente la sconfitta», diceva Abraham Lincoln. Il motto di Donald J. Trump invece (ci mancherebbe) è di tutt'altro tenore: «A volte nel perdere una battaglia trovi un nuovo modo di vincere la guerra». Ecco, dopo la decisione di ieri della Consulta, bisogna capire su che strada intenderà incamminarsi per davvero Vincenzo De Luca: quella indicata dal 16º presidente degli Stati Uniti, colui che abolì la schiavitù in America; o quella suggerita dalle parole sicuramente più bellicose dell'attuale inquilino della Casa Bianca. Stando alle prime reazioni rilanciate da palazzo Santa Lucia sembra che il nostro non abbia perso (almeno) il suo humour dissacrante. L'impressione, però, al netto di colpi di scena - a cui peraltro ci ha abituato negli ultimi sei lustri e passa, durante i quali ha dominato la scena politico-istituzionale salernitana (prima) e campana (dopo) - è che una lunga stagione si sia inevitabilmente esaurita. O quantomeno sia in via di rapido esaurimento. Un'epoca di vertice e al vertice, quella di De Luca, iniziata proprio a Salerno, da sempre sua roccaforte, nel 1993, con la prima elezione a sindaco. Poi una cavalcata quasi inarrestabile (alle Regionali del 2006 fu sconfitto da Stefano Caldoro), che lo ha portato per due volte a conquistare la poltrona di governatore, oltre che in Parlamento e a occupare lo scranno di viceministro alle Infrastrutture e ai Trasporti nell'esecutivo Letta.
Ora, a prescindere dal giudizio sul suo operato e sul suo stile istituzionale, che difficilmente metterà d'accordo tutti ma questo è il destino di chi fa politica e governa resta da capire proprio come De Luca imposterà gli ultimi mesi di mandato e, soprattutto, come interagirà con il centrosinistra, posto che la segretaria del Pd, Elly Schlein, aveva già detto chiaramente nei mesi scorsi: a prescindere dalla decisione della Corte Costituzionale sulla legge campana, l'attuale presidente della Regione Campania non sarà il candidato della coalizione. «Campo largo» non il «campo santo» evocato ironicamente da De Luca appena qualche settimane fa nel quale invece si muove decisamente a suo agio, ogni giorno di più, il sindaco di Napoli e presidente dell'Anci nazionale, Gaetano Manfredi. Che da ieri sera diventa giocoforza il più autentico candidato al ruolo di «costruttore» o «federatore» che dir si voglia. In Campania e nel Sud certamente. Ma con sguardo anche oltre, probabilmente. L'ex ministro dell'Università, infatti, può portare in dote un carattere molto più accomodante e una capacità di unire e fare sintesi ormai divenuta merce rara dalle parti della sinistra. Manfredi ha anche ribadito in mille circostanze e, al momento, c'è da credergli, che non ha alcuna intenzione di essere lui il portabandiera del «campo largo». Si vedrà. Fatto sta che, sin dalle prime ore postdecisione della Consulta, come scrive oggi Paolo Cuozzo su questo giornale, l'ex rettore della Federico II indica la via maestra nella prosecuzione ed estensione del «modello Napoli». Che includa cioé Pd, 5S, Avs, moderati, riformisti. Una sorta di nuovo Ulivo che i primi sondaggi danno comunque avanti. De Luca ci sarà? Aiuterà il centrosinistra a mantenere il presidio campano? Darà vita a un suo movimento? Tornerà a Salerno a fare il sindaco? Pure qui saranno i prossimi giorni a diradare ogni dubbio. L'aver voluto forzare la mano con la legge poi stoppata dalla Corte Costituzionale, come racconta Simona Brandolini, sul Corriere, non è stata una scelta vincente. Forse sarà stato anche mal consigliato visto il risultato nella strategia da adottare, ma a lui le sfide sono sempre piaciute. Il problema è che, quando le sfide si trasformano in azzardo, c'è il rischio di sbattere contro i muri.
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