Meditando sul concetto di «
sinistra regressista», ho concluso che questa espressione, lanciata in questi giorni da
Antonio Bassolino, non si attaglia affatto, come crede lui, ai modi schiettamente bellicosi di quella sinistra campana che si è votata a forme di lotta gagliardamente centrate sull'ostruzionismo e il boicottaggio. Rigorosamente «regressista» mi sembra al contrario lo stile remissivo e sottomesso con cui i figli e i nipotini di quel magnanimo ramo della sinistra italiana che fu il vecchio Pci si sono da un pezzo rassegnati a elaborare il lutto motivato, ormai circa due decenni fa, dal crollo della loro antica patria di riferimento. Fu infatti a partire da quel momento che essi incominciarono a esercitarsi in quella pratica squisitamente regressiva che è la metodica rinuncia a tutti i grandi traguardi perseguiti in gioventù. Sfumarono così, uno dopo l'altro, molti nobili ideali, corrispondenti ad altrettanti progetti e aspettative, fra le quali conviene ricordare il crollo più o meno imminente del capitalismo sotto i colpi della rivoluzione proletaria, l'avvento della società senza classi, la dittatura del proletariato, la pianificazione di ogni aspetto della vita individuale e collettiva, la partiticità della cultura e dell'arte, la centralità operaia, l'estinzione dello Stato, il dovere di anteporre il partito alla verità e tante altre analoghe bandiere. Il vuoto lasciato da ognuno di quei vessilli doveva tuttavia essere colmato. E proprio a questo fine si provvide a rimpiazzarli uno dopo l'altro coi drappi degli avversari. Il che impose la trasformazione della propria antica officina in un'industria specializzata nel restauro e riciclaggio di stendardi altrui.Il capitalismo, il profitto, il mercato, la democrazia liberale, lo Stato di diritto, la libertà di pensiero e di espressione, il valore dell'individuo, l'etica della responsabilità, l'importanza della sicurezza, tutti insomma i valori e gli ideali che la nostra sinistra bolscevica aveva deriso e sbeffeggiato fino al giorno prima come raggiri e trucchi della reazione borghese in agguato furono dunque da lei rilanciati sul mercato delle idee come sue creazioni originali. Quale pratica ideologica e politica merita più di questa, basata com'è sull'eterno ritorno al passato degli altri, di essere definita «regressista »? Nulla sembra invece più ingiusto dell'idea di affibbiare questa etichetta ai gusti apocalittici di quel ramo della sinistra campana che ha deciso di annientare il Cav. opponendo alla di lui retorica del «fare» quella sublime poetica del non fare, del bloccare, del proibire, del punire e del disfare che, secondo il mio amico Pulcinella, potrebbe essere, anzi, l'ultima vera espressione dell'anima progressista di ogni nostra autentica sinistra cittadina, regionale e nazionale.
(Ruggero Guarini da il Corriere del Mezzogiorno)
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