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sabato 16 agosto 2008

A cavallo di una scopa

Credo abbia ragione il professor Ernesto Fattorusso quando, nella lettera inviata ieri a Repubblica scrive sconfortato che no, proprio non si può paragonare la Napoli di Bassolino a quella di Gava, e addirittura sospettare che quest'ultima possa essere migliore della prima. E il massacro della collina? E i bus che non arrivavano mai? E le piazze storiche assediate dalle auto? Tutto vero. Ed è dunque legittimo lo stupore di chi, come lui, non si aspettava tanto revisionismo dai giornali di sinistra come Liberazione. A Fattorusso e a quelli come lui bisognerebbe però fare un'altra domanda: la Napoli di Gava era forse come quella di Lauro? E quella di Lauro era come la Napoli lasciataci in eredità dalla guerra? Nessuna città, tranne qualcuna descritta da Italo Calvino, riesce, pur volendo, a rimanere uguale a se stessa. Tutte cambiano. E col tempo, quasi tutte cambiano in meglio. A meno che Fattorusso non preferisca i palazzi sventrati dai bombardamenti alle speculazioni laurine. Il punto, semmai, è il cambiamento relativo. Per intenderci, rispetto a Barcellona, Napoli è più vicina oggi o lo era di più al tempo di Gava? E la distanza tra Napoli e Milano è rimasta la stessa? Io credo che le altre città abbiano corso più velocemente di noi e sfido chiunque a dimostrare il contrario. Provo, allora, a riformulare il quesito posto da Liberazione in altro modo: quando smetteremo di giudicare la classe politica locale utilizzando due pesi e due misure? Fino a quando non giudicheremo Bassolino con la stessa severità con cui abbiamo giudicato Gava e fino a quando non avremo per Gava la stessa tolleranza che abbiamo avuto per Bassolino, Napoli non riuscirà a sbloccarsi. Non riuscirà, cioè, a trovare la bussola in una perenne conflittualità politica in cui ideologismi e moralismi ne hanno combinate di tutti i colori. E Bassolino ne sa qualcosa. Se Gava era il Male e se addirittura meritava, come Bassolino ha fatto, di essere letteralmente e irriguardosamente mandato a quel paese, come spiegare che anche senza il leader doroteo la città non è riuscita a prendere il volo? Il mio sospetto è che ideologismi e moralismi siano in realtà serviti a coprire una sostanziale continuità nella concezione della città e nel suo governo. Napoli aveva bisogno di un salto, di una rottura, ma con Bassolino questa frattura con il passato non c'è stata. È probabile invece che si determini ora con Berlusconi, se è giusta l'analisi recentemente fatta da Gianni Baget Bozzo. Per il quale Berlusconi, fuori da vecchi schemi ideologici, ha finalmente capito che il problema della politica non è più quello di risolvere la questione sociale, da lasciare al libero gioco del mercato, bensì di affrontare e risolvere la questione civile. Dare dignità al Paese, uniformarlo su standard alti di civiltà. Non più le vecchie e ormai insopportabili dispute tra statalisti e liberisti, o antiassistenzialisti e protezionisti, ma una laica comprensione dei problemi da risolvere e un'efficiente azione risolutiva. Ecco perché tra Gava e Bassolino abbiamo visto spuntare su questa città un leader a cavallo di una scopa capace, nonostante il suo aspetto fiabesco, di operare svolte di rara concretezza. (Marco Demarco da il Corriere del Mezzogiorno)

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Napolionline - la citta vista da dentro - venerdì 15 agosto 2008

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