Pagine
▼
domenica 17 agosto 2008
«Salviamo l'Italia» dice il Pd. Ma da che cosa?
Firmare o non firmare contro il governo Berlusconi? Il dibattito, soprattutto in Campania, per motivi ben noti, si è già ampiamente sviluppato e non varrebbe la pena di tornarvi su se non per due ragioni che vorrei brevemente indicare, e che peraltro ci portano assai oltre la discussione ricordata. La prima è di merito, e non per caso è la più trascurata: la parola d'ordine «salviamo l'Italia», a distanza di pochi mesi dal voto, implica spostare l'analisi politica del Pd assai lontano dal suo punto di partenza, che era nel riconoscimento reciproco fra le forze in campo per il governo del Paese, e implica accodarsi, di fatto, a quelle opposizioni vocianti e scomposte che hanno visto insieme Di Pietro e Beppe Grillo, Furio Colombo e Sabina Guzzanti, politici e comici indistintamente. S alvare l'Italia, ma da che cosa? Dal «fascismo strisciante » di Famiglia cristiana? È di qualche girono fa la dichiarazione di Enrico Morando sull'importanza della visione economica di Giulio Tremonti, e ogni giorno giungono nuove adesioni al federalismo fiscale e al dialogo con Calderoli. E allora? Perché offrire all'opinione dei democratici una parola d'ordine che contiene, in se stessa, il disconoscimento di un voto democraticamente espresso, e che si potrebbe tradurre nell'altra: salviamo l'Italia dalla maggioranza degli italiani? Si dirà: ma il governo ha fatto cose pessime in molti campi. Si può naturalmente condividere questo giudizio, ma «salviamo l'Italia» è altra cosa, è il richiamo della vecchia foresta, a una forma di opposizione non disponibile al reciproco riconoscimento, destinata a dare spago a quel confuso vocio cui mi sono riferito e che non aiuterà il sistema politico a riformarsi e l'Italia a diventare una democrazia moderna. È dunque sbagliata, a mio giudizio, proprio la parola d'ordine scelta, destinata a creare confusione e sconcerto: come si farà a condividere qualcosa con un governo da cui l'Italia deve essere salvata? E soprattutto, come lo si riconoscerà in una forza legittima? Ecco perché il non-voto di chi ha scelto di non votare (Bassolino in testa) ha un senso politico, e non è necessariamente lo scudo di un sistema di potere che vuole salvare se stesso. Ma su questo, magari, in altra occasione. Ora preme indicare la seconda ragione di sconforto e di critica rispetto alla scelta della campagna di voto. Mi sembra la scelta di «Veltroni 2» contro «Veltroni 1» , la scelta di un partito che non riesce ad avere una identità, una politica, una cultura politica in cui individuarsi, e si rifugia in un gesto generico ed ambiguo che dovrebbe sostituire tutto ciò che non c'è. Che cosa non c'è? Il partito stesso, a dirla in breve. La sacrosanta scelta di Veltroni di presentarsi da solo (sia pure con la sconcertante contraddizione dell'alleanza con Di Pietro che oggi sembra dirla lunga sullo stato d'animo con cui la scelta fu compiuta) implicava — e implica — che la semplificazione del sistema così ottenuta fosse accompagnata subito da serrati confronti sul progetto politico del partito, sulla costruzione di una cultura politica capace di essere il punto di unificazione delle sue anime. Ma se ciò non è avvenuto e non avviene, o se avviene in forma di «fondazioni» che sembrano prefigurare l'immagine, con tutto il rispetto, di una ciurma che abbandona la nave, quella semplificazione quantitativa del sistema politico diventa anticamera di un semplice impoverimento di tutto il sistema, ripercuotendosi le vecchie contraddizioni della vecchia «Unione» all'interno del Partito democratico ora in una solitudine che priva quelle contraddizioni di ogni possibile giustificazione. Può, ad esempio, il Partito democratico discutere e decidere sulle questioni, come vengono chiamate, eticamente sensibili, o non lo può fare esattamente come non lo poteva fare l'Unione? E così si potrebbe semplificare su tante altre cose, dalla riforma dello stato sociale ai temi della sicurezza. E allora? Di che partito stiamo parlando? Di quello che sceglie «salviamo l'Italia» sperando così di salvare se stesso? Prima dunque di parlare di partiti federali o no, sarebbe forse opportuno capire (ma sul serio, sull'onda di una battaglia politica e ideale, e non per aggregazioni di oligarchie) se le vecchie anime della Dc e del Pci che si sono messe insieme riescano a pensare se stesse oltre le loro vecchie esperienze, se riescano a capire l'Italia che gli ha voltato le spalle, la quale, piaccia o non piaccia, ha messo all'opposizione tutte o quasi le forze che governavano la prima Repubblica. C'è qualcuno nel Partito democratico che si è posto il problema in questi termini? Che ha cercato di spiegare perché ciò sia avvenuto? E quale Italia viene fuori da questa sconfitta? Su tutto questo, il vuoto, ed è calato il silenzio. Un silenzio rotto dai megafoni che si appellano alla raccolta delle firme, come il richiamo in una valle senza eco. Credo che un vicolo cieco sia spalancato davanti a una classe dirigente che ha paura di interrogarsi e interrogare l'Italia. Ma, se è così, la storia del centrosinistra italiano dovrà attraversare un deserto di ghiaccio prima di ritrovare se stessa. (Biagio De Giovanni da il Corriere del Mezzogiorno)
1 commento:
La qualità e l’efficacia del blog dipendono quasi interamente dai vostri contributi. Si raccomanda, perciò, attinenza al tema, essenzialità e rispetto delle elementari regole di confronto. I messaggi diffamatori, scritti con linguaggio offensivo della dignità della persona, razzisti o lesivi della privacy, pertanto, non saranno pubblicati.
Salviamola dai blogger...???
RispondiElimina