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lunedì 19 aprile 2010
Un Pd senza orgoglio
È nell’ordine delle cose. Sembra addirittura inevitabile. L’onda lunga e tumultuosa che, nei giorni scorsi, ha inferto un colpo demolitore alle ultime roccaforti campane del centrosinistra, dopo aver consegnato molte province e la Regione al centrodestra, è prossima a travolgere il Comune di Napoli — ultima grande città ancora amministrata dal Pd. La situazione èmolto difficile, non solo perché l’attuale maggioranza scricchiola, mostra crepe profonde sul piano amministrativo, quanto piuttosto perché presso gli stessi dirigenti dei partiti di centrosinistra è largamente diffusa la consapevolezza del declino inarrestabile di un progetto che, comunque, per oltre un decennio aveva raccolto significativi consensi in città sia presso il «popolo basso» che presso ampie fasce della borghesia colta. Dopo la recente sconfitta elettorale, il Pd è come frastornato di fronte alle tante proposte estemporanee che da più parti gli vengono suggerite (partito del Sud, lega meridionale, partito federale, fondazione, soggetto politico trasversale…); non discute al proprio interno. Dà l’impressione di essere incapace di portarsi fuori dal suo troppo lungo sonno dogmatico e di non saper guardare avanti. Molti episodi, vicende, comportamenti e trasformismi hanno, negli ultimi tempi, segnato fortemente la vita di questo partito, il cui gruppo dirigente non sembra abbia finora saputo elaborare idee o proposte apprezzabili. Ma se non ha uno scatto di orgoglio e la volontà (è il caso di dirlo) di cambiare tutto, il Pd si autocondanna a una morte ineluttabile. La perdita del Comune di Napoli potrebbe addirittura configurarsi come il punto terminale di una crisi senza «uscite di sicurezza». Sarebbe necessario, pertanto, e da subito, tentare di arginare la deriva. Innanzi tutto avviando una azione moralizzatrice all’interno del partito, mandando in pensione o «sistemando» altrove una intera classe di burocrati catafratti, senza qualità e senza idee. Ma ciò non basta, se non si ha il coraggio di ridiscutere, in primo luogo, sulla identità stessa di un partito che appare sempre più diviso e lacerato; e, quindi, sulle ragioni della diaspora senza precedenti che ha segnato la vita del centrosinistra, a partire dalla fine degli anni Novanta. E diaspora significa afasia degli intellettuali, sfiducia dei lavoratori, disincanto dei giovani. È sotto gli occhi di tutti che gli ultimi otto o nove anni delle giunte di centrosinistra, beninteso tranne qualche rara eccezione, sono stati «spesi» male. Sembra quasi che si sia operato per consegnare comuni grandi e piccoli, province, Regione al Pdl. Il quale sta muovendosi con molta cautela, consapevole di dover affrontare questioni decisive e avviare a soluzione problemi aperti di grande rilievo per la vita, l’economia, la cultura delle nostre comunità. Il Pd, invece, è fermo, frastornato, confuso. I suoi funzionari, consiglieri, deputati e senatori sembrano convitati di pietra, in attesa non si sa di che cosa. È troppo immaginare che possano essere messi da parte? (di Aldo Trione da il Corriere del Mezzogiorno)
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