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giovedì 5 novembre 2015

Brutto il paese che non conosce le scuse

di Giorgio Mule da Panorama 

Uno dei limiti propri della natura umana è l'incapacità di chiedere scusa. In alcuni sarà l'effetto di un retaggio infantile, magari perché fin da piccoli genitori e nonni trasferiscono l'errato concetto che le scuse equivalgono a una punizione. Il problema è che da grandicelli, quando soprattutto si hanno responsabilità importanti nella società, bisognerebbe superare questo complesso. E avere l'umiltà - e la grandezza - di presentarsi in pubblico e pronunciare le paroline magiche: scusate, ho sbagliato. Nei giorni scorsi avete visto com'è andata a finire (si spera, almeno) la vicenda che riguardava tra gli altri l'imprenditore Andrea Bulgarella e il vicepresidente di Unicredit, Fabrizio Palenzona, con annessi schizzi di fango anche su chi scrive: i giudici del Tribunale del riesame di Firenze hanno demolito tutte le accuse. Mica bagattelle: Bulgarella era stato descritto dalla Procura di Firenze e dai carabinieri del Ros come esponente della peggior feccia criminale al servizio del superboss mafioso latitante Matteo Messina Denaro; Palenzona come un servo che aveva piegato la banca assicurando all'imprenditore credito personale e finanziario.
 
Una colossale baggianata, come hanno scritto senza mezzi termini i giudici (sul sito di Panorama potete leggere il provvedimento integrale), che ha lordato la reputazione di Bulgarella, di Palenzona e di un colosso internazionale come Unicredit. Pensate come sarebbe stato bello se il procuratore di Firenze, che ha apposto la sua firma al decreto di perquisizione, in compagnia del comandante del Ros di Firenze (rappresenta l'elite dei reparti antimafia dell'Arma, stiamo messi benissimo) avessero convocato i giornalisti o diffuso un comunicato stampa per affermare: «Alla luce del pronunciamento dei giudici del riesame, questo ufficio nel pieno rispetto delle procedure stabilite dalla legge si scusa con gli indagati e assicura che continuerà nel suo servizio allo Stato con l'unico fine di ricercare la verità». Utopia. Perdonatemi se insisto: a Firenze, i giudici non sono andati di cesello per confutare le tesi strampalate della Procura ma hanno escluso perfino la presenza di «fumus» dei reati. Cioè: gli inquirenti pensavano di avere trovato «l'arrosto» e invece non c'era neppure il fumo, Da un'espressione latina a un'altra. Siamo a Milano. Un giudice azzera le accuse nei confronti dell'ex numero uno dell'Eni, Paolo Scaroni, tenuto sulla graticola per oltre due anni con l'accusa di corruzione internazionale per una presunta tangente di 198 milioni; lo proscioglie prima ancora di fare il processo perché «non si può ritenere raggiunto quel minimum probatorio richiesto per un rinvio a giudizio». Poi sottolinea «l'assenza di ogni prova» e sostiene come gli elementi indicati dalla Procura non siano «sufficienti, spesso anche per la loro contradditorietà, a provare (il reato, ndr) neppure per via induttiva». Una parolina di scuse? Zero. E stiamo in attesa che la Procura di Bergamo e i Ris dei carabinieri abbiamo la decenza di chiedere scusa per aver contrabbandato a giornali e televisioni una patacca spacciandola per un filmato-verità che inchiodava il presunto assassino di Yara Gambirasio. Abbiamo sperato inutilmente che A che tempo che fa fosse giunto il tempo delle scuse di Fabio Fazio dopo l'apparizione gratta e vinci da 24 mila euro per l'inutile ospitata di Yanis Varoufakis o che il governatore della Campania, Vincenzo De Luca, si rendesse conto di aver esagerato nei confronti di Rosy Bindi. Macché, niente. Non ci resta che guardare ammirati al Giappone, dove chi sbaglia a qualsiasi livello fa un atto semplice: la saikeirei, un inchino a 90 gradi in pubblico per scusarsi I di una colpa grave. Provate a immaginare: se fosse così anche da noi, sai quanti ammalati di scoliosi.

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