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martedì 7 giugno 2016

Il ponte maledetto

di Filomena Baratto

Vico Equense - Il ponte che congiunge Vico e l’uscita della galleria a Seiano, non è solo un luogo fisico, ma anche un punto preciso che ricorda i tanti che da qui hanno spiccato l’ultimo volo. Eppure ogni volta che passo di lì, ne ammiro la posizione, l’altezza, così come l’imponenza del viadotto su cui passa il treno, che va da una parte all’altra della montagna, dove elementi antropici si confondono con quelli naturali. E’ difficile che tanta bellezza possa innescare idee nefaste. Qui vita e morte fanno i conti, bellezza e altezza vanno a braccetto. Il ponte sembra si porti dietro l’eco della morte, forse di quella prima anima che rimase senza vita tra la boscaglia, ai suoi piedi. Il fatto che tanti abbiano volato giù dal ponte, dà la forza, a chi ha deciso di fare la stessa fine, di emulare quelli che prima di lui hanno innescato il meccanismo. E’ il luogo dove si sprofonda fisicamente dopo averlo fatto psicologicamente. E’ conosciuto come il ponte che accoglie le anime in pena, e chi prende la decisione lo raggiunge con l’intenzione di volare giù. E’ diventato talmente un luogo comune che ci si scherza anche su quando si dice se si vuole che ci si butti giù dal ponte, per affermare che non c’è più alcuna possibilità di fare altro. E va da sé che il ponte è solo quello. Ci si chiede quanto poco valga la vita o quanto debba essere grande la pena per buttarla via.
 
A volte nel nostro cervello albergano delle congiunture negative che si alleano tra loro, prendendo spunto dal carattere, dagli eventi contingenti, dalle opportunità, sapendo che lì c’è un luogo adatto a quello che andiamo cercando. Tutti questi pensieri come isole sparse, possono a un tratto avvicinarsi, creando un vortice da cui non si esce più . Dopo tanti casi, anche se sporadici ma continui, dovremmo evitare che la congiuntura “possibilità di avere un luogo a portata di mano” possa coniugarsi con le altre nella mente al momento di una crisi. Allora potremmo mettere delle reti sottostanti dopo aver alzato, con cavi d’acciaio, l’altezza della ringhiera e precludere alla mente angosciata ogni possibilità di finire nel vuoto. Dovrebbe diventare il nostro ponte di Brooklyn, il ponte d’acciaio, una prigione, per tirare dritti tutti quelli che a questo punto hanno voglia di sperimentare l’altezza e il tonfo al suolo. Spesso vediamo questi fatti come delle debolezze, gesti di menti non proprio sane e li vediamo così lontani da noi, distanti. Ricordiamoci che siamo della stessa pasta e non abbiamo forse mai provato un certo tipo di disperazione, che ti permette gesti inconsulti, ti tarpa le ali, ti annienta. Anche noi potremmo arrivare a fare tanto, senza alzarci al di sopra degli altri come se fossimo immuni da ogni disperazione. Siamo solo uomini del resto e, come dicevano gli antichi, il cervello è come una cipolla, che sfogliando porta ogni pensiero, bello o brutto che sia. Si potrebbero attrezzare i parapetti con scritte di vita, con colori solari, con pubblicità allegre e scacciare, così, anche i pensieri più bui come lo spettro della morte che cammina lungo il ponte, così come sul sentiero della vita di chi è meno fortunato. E non lambicchiamoci il cervello a dire che potrebbe farlo altrove, intanto avremmo tolto la possibilità a questo luogo di essere additato come il ponte della morte e di scacciare dal posto questa vecchia strega che vi abita indisturbata, togliendole la sede per sempre. La ciclicità di questi eventi nefasti ci obbliga a prendere seri provvedimenti e non lasciar passare questi fatti come semplici accadimenti legati a un luogo e a cause tanto esasperanti da giustificare una morte così violenta. Si ha il dovere di fermare questa catena e arginare ogni possibilità di poterla perpetrare. Per paradosso comincerei a mettere su una grande scritta dove si legga:”La vita è bella” ricordando a chi si accinge a cadere che avrà sempre un’altra possibilità, qualsiasi sia il motivo per cui lo faccia. Questa poesia di Giovanna Stori, che mi sono permessa di postare, spero non me ne voglia l’autrice, esprime quello che rappresenta il ponte per chi decide di farla finita.

Qualcuno si chiede perché/su da un ponte /si lancia sovente/ la povera gente./ E’ il Ponte che ispira/ e il suo nome: /un passaggio, un arco nel cielo, sospeso/che illude e promette ricetto e riposo./Un volo tra il cielo e il mare/che invita e ti lascia sperare…/ un passo, ed è un mondo diverso/ varcando una nuova frontiera./Lasciarsi alle spalle l’orrore/ sognando di un posto migliore/oppure, e in un attimo, il niente./E’ questo il fascino arcano/ che ispira quel ponte che guarda Seiano. (Giovanna Stori) 

La poesia esprime i sentimenti di chi non ce la fa più, ma noi propendiamo per la vita, sempre e comunque, spezzando questo freddo e insopportabile connubio di un luogo così ameno come Vico e un preciso luogo di questa zona dove invece si va a cercare la morte.

1 commento:

  1. Grazie per avere apprezzato questa breve poesia, scritta di getto, in seguito a uno degli eventi dolorosi, che sembrano maledire, un posto così bello e incantevole.
    Nonostante alcune "tremende brutture" apportate dalla mano dell'uomo,questa ubertosa frattura della Penisola Sorrentina, resta uno degli scorci più belli ed apprezzati dai turisti di tutto il mondo.
    Pensare che il suo fascino viene dalla posizione felice, dalla presenza di acque, fresche e abbondanti, dalla vegetazione rigogliosa. Già i primi coloni Greci, scelsero questo sito speciale, unico, per soddisfare le loro esigenze di sopravvivenza, quindi, non certo come luogo di morte. Più tardi i Romani e, pare, nobili famiglie di stirpe Etrusca, abbiano amato e apprezzato, la Marina e l'entroterra di Aequa.
    Non a caso, quei luoghi sono stati appellati: Terra delle Sirene. Antiche ammaliatrici, sicuramente affascinanti, forse ingannevoli...

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