Sica srl contro il Comune di Vico Equense per l’abbattimento del gigante di cemento. Ancora battaglia legale: il Consiglio di Stato dovrà giudicare la regolarità dell'iter
Fonte: Salvatore Dare da Metropolis
Vico Equense - La battaglia sull'Ecomostro di Alimuri continua. E nonostante il Tar della Campania abbia già detto chiaro e tondo che quell'abbattimento andato in diretta nazionale il 30 novembre di tre anni fa era sacrosanto. Ma la Sica srl, società proprietaria del rudere dell'albergo, non si arrende e vuole ottenere dal Consiglio di Stato il ribaltone. Cosa cambierebbe? L'Ecomostro non c'è più. Ma se i giudici accertassero l'illegittimità della demolizione a quel punto, in separata sede, potrebbero (forse) cambiare gli scenari. Anche per un possibile contenzioso in sede civile. Fatto sta che il Comune di Vico Equense ha dovuto nuovamente prendere atto della situazione conferendo incarico all'avvocato Erik Fumo di costituirsi in giudizio. La sentenza impugnata è quella pubblicata lo scorso gennaio dal Òàã della Campania secondo cui la demolizione dell'Ecomostro fu corretta. Per i giudici il Comune di Vico Equense attuò la procedura giusta perché l'intero immobile risultava effettivamente difforme rispetto all'unica licenza edilizia concessa nel lontano 1964. Un'irregolarità confermata anche da una perizia commissionata dalla Procura della Repubblica di Torre Annunziata ad un esperto alcuni anni fa che indagò sullo scheletro di cemento a causa del ferimento di un giovane. Sica srl invocava l'annullamento dell'intera procedura adottata dal Comune per abbattere l'Ecomostro. Compresa la tanto bistrattata demolizione in danno.
Ovvero, la scelta - assunta dalla giunta all'epoca guidata dall'ex sindaco Gennaro Cinque, oggi assessore - di anticipare i soldi per gli interventi rivalendosi poi sul soggetto privato titolare dell'abuso edilizio. Proprio quello che avvenne lo scorso gennaio, con l'avvocato Fumo che iniziò a valutare la possibilità di mettere in mora Sica per la somma di 450mila euro circa (compresi gli interessi). I giudici, nel dispositivo di primo grado, furono chiari: «Con riferimento al primo corpo di fabbrica edificato si evidenzia difformità in punto di sagoma e prospetto. Viene inoltre riscontrato che l'altezza del medesimo corpo risulta in contrasto con le prescrizioni contenute nella licenza edilizia di rinnovo». Nel dettaglio, l'altezza di 19 metri invece dei 16 previsti con 6 piani invece dei 5 autorizzati. Oltre al solaio del terzo corpo di fabbrica, che si estende di qualche centimetro in più rispetto a quanto permesso. «Ne risulta dunque complessivamente una difformità piano-volumetrica dell'immobile rispetto all'autorizzazione paesaggistica del 1963». Aspetto da sempre rilanciato dall'ex assessore ai lavori pubblici, l'ingegnere Antonio Elefante, colui che ha sbloccato una vicenda durata fin troppo. Altro elemento chiave a supporto del Comune è l'uscita dall'accordo del 1997 stipulato tra le parti dall'allora ministro Francesco Rutelli. Un patto che prevedeva delocalizzazione dell'immobile. E che è già sta annullato dal Tar del Campania.
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