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sabato 21 gennaio 2017

L’inverno

Vico Equense 
di Filomena Baratto

Vico Equense - C’è qualcosa di poetico e nostalgico nell’inverno, quest’anno poi ancor di più per la neve che ha coperto gran parte del Faito e delle zone alte. Là dove in estate era uno splendore, ora è freddo e umido ovunque, con poca luce e tanti luoghi ombrosi. Mi affaccio alla ringhiera della Villetta e vedo il mare giù che ruggisce, mentre appena qualche mese fa, allo stesso posto, il sole brillava con i suoi raggi d’oro. Le onde arrivano sul bagnasciuga arrabbiate e stanche infrangendosi come sacchetti pieni d’acqua che si aprono al tocco del suolo. Anche la spuma non ha la forza necessaria e si scompone senza montare. Com’è triste la spiaggia spoglia e sola mentre le barche raccolte nel porticciolo, urtandosi, provocano uno scocco, come la frusta del nocchiero che sferza i cavalli. Sono piacevoli anche i suoni, come il fischio del vento che giunge a riva da lontano, quello sciabordare che agita le piccole imbarcazioni nel porto, lo stridore di qualche gabbiano insonnolito. All’orizzonte si confonde il tutto: cielo e mare nascono insieme e si accompagnano per lungo tratto, come amanti camminano mano nella mano. Le marine di Vico presentano paesaggi stupendi con colori tenui, brezze leggere, foschie di prima mattina e gelate notturne. Il freddo pizzica e quasi svanisce se penso al caldo afoso dell’estate nello stesso punto. Mi piace la costa d’inverno. E’ come un vecchio affannato che aspetta i bei giorni di sole e intanto combatte i malanni. Il mare agita tutte le sue sfumature che stempera qua e là donando colori lucidi. Qualche volta, nelle giornate di pioggia, guardo fuori, mentre vado in macchina, e in ogni goccia appiccicata al finestrino vedo tutta l’acqua che scroscia. Il ticchettio sul vetro accentua la malinconia, come un lento e infinito lamento, non sapendo quando il bel sole tornerà a splendere. Il molo è solo un lungo serpente sull’acqua, proteso a sondare i malumori del mare che, sofferente di bufere e venti, arranca, si tuffa e si rituffa creando nuove direzioni e mete.
 
Paesaggio surreale se poi nei nuvoloni viaggiano tanti personaggi in lotta a far la conta per chi deve scendere per primo. Vico in inverno è una lirica di versi e strofe a colori, con parole e sillabe ancipiti, ora a raccontare delle brumose giornate invernali ora a confrontarle con gli umori e la luce della bella stagione, dove emergono suoni di fruscii e mugolii in coro tra cielo e mare. In quell’acqua che ora si ribella e corre verso terra, c’è la frenesia di guardare già alla bella stagione. Si ha a disposizione la spiaggia intera e viene naturale giocare tirando sassi a riva con tonfi secchi a riprodurre echi di pensieri. Ora si respira aria fredda che rovista le narici e arriva alla gola. Là fuori, un piccolo uccello prova ad uscire, si arrende, arretra sul muro di cinta dello stabilimento balneare e nella stessa direzione, Sant’Antonio, da lontano, si pone a guardia di tutto il lungomare. Salendo lentamente mi invade un profumo di erba che lancia un messaggio e poi un ricordo: un prato fresco di rugiada. D’inverno qui è un piacere: avere il tempo di girare a “vuoto” e accarezzare i luoghi più nascosti o quelli più noti che in estate sono presi d’assalto. Salgo verso la collina, l’aria si fa fredda. Per strada cammina una donna con abiti leggeri, come se non avvertisse il freddo, in compenso ha un colorito rosso acceso. A metà strada, salendo verso la montagna, guardo giù: lontano il mare è come una carta nel presepe. Nemmeno un raggio di sole, il cielo grigio tra i filari di un vigneto. L’erba qui è bassa, i tutori di legno delle viti sono freddi e attorcigliati e non si vede anima di una gemma, solo legno secco e scuro e tra le foglie ancora il mare giù in lontananza. Gli alberi spogli con le loro braccia protese al cielo danno il letto a qualche ardito passerotto. Alzo lo sguardo, lassù tanta neve sui versanti. Intanto ovunque c’è silenzio e sotto il cielo grigio si apre uno squarcio speranzoso fatto di una sola nuvola chiara che corre veloce. Risalgo e la pioggia vien giù a goccioloni di neve. Il nostro gigante, Faito, è tutto imbiancato come un vecchio canuto con la papalina, i baffi e il broncio per il pallore che si ritrova. Mi affaccio nel campo vicino alla strada, il terreno è bagnato e privo di vita, ogni filo d’erba è appesantito da acqua o neve. Non si odono animali, né insetti, né echi lontani, tutto è appannato, il grigio divora i colori. L’inverno punge nei campi, in giro manciate di neve, come isolette gettate qua e là prima di diventare acqua. Provo a prenderla in mano, una sensazione di fresco, di freddo, di pastosa miscela che si discioglie nel palmo. Quando arrivo al centro sportivo di Faito ormai la luce è finita, le chiome degli alberi intrappolano ora il buio per la notte vicina. Qui la neve è alta, lo spazzaneve fatica a spalare e la lascia ai bordi delle strade alta, sporca, come un muro aggiunto a quello delle case. Vedo ora un abete appesantito, ora uno steccato imbiancato, una casetta isolata, una ringhiera con vasi di fiori vuoti e nel giardino un’altalena per bambini con la sedia ghiacciata. Il pensiero si riscalda a ricordare che i bambini lì in estate giocavano e un po’ di tepore arriva anche in macchina. Sul Belvedere mi affaccio col dovuto coraggio e, laggiù, onde di terre imbiancate si aggrovigliano fino alla costa. Il freddo me le fa accarezzare e con lo sguardo quasi ne vado sciogliendo il ghiaccio. Riprende a cadere la pioggia, ora leggera e più dolce, diffondendo un odore di pino insistente. Il pensiero mi riporta al fuoco del camino a casa, dove vedo la legna ammassata ardere dispettosa. Un paesaggio invernale variegato, tra colline e mare, monti e penisola tutta vista in lontananza, fino a raggiungere Capri. Inutile raccontare la bellezza che lo sguardo cattura, bisogna rendersene conto di persona. L’inverno qui ha un fascino speciale.

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