Fonte: Marco Demarco da Il Corriere del Mezzogiorno
Il fascicolo del fabbricato, cioè la carta di identità degli stabili in cui abitiamo. Ora tutti tornano a parlarne: sia per sottolinearne ancor di più l'urgenza, sia per denunciare le responsabilità di quanti ne hanno finora ritardata l'introduzione. In effetti, la tragedia di Torre Annunziata ci riporta inevitabilmente sul punto, visto che di fronte a quello che è successo, di fronte ai morti schiacciati dal crollo e soffocati dalle macerie, e di fronte alle prime ricostruzioni che parlano di sospetti lavori di ristrutturazione, è davvero impossibile non chiedersi come mai uno strumento da tutti ritenuto tanto indispensabile non sia ancora nella disponibilità delle pubbliche amministrazioni. E tuttavia, pur volendo seguire la pista del vuoto normativo, sarà difficile risalire, su questo tema specifico, a responsabilità facilmente individuabili o a resistenze esplicite, perché si sa come vanno queste cose. Quando la cronaca lo impone, dell'argomento se ne parla e se ne parla. Ma poi c'è sempre qualcosa di più urgente su cui dirottare l'attenzione. Se è dunque cosi che stanno le cose, bisognerà ammettere che c'è una questione molto più generale con cui misurarsi. Ed è questa. È ormai da circa trenta anni che la sensibilità ambientalista in Italia, cioè nel Paese in cui più dell'80% dei comuni è a rischio idrogeologico, si sta affievolendo. La legge Galasso per la tutela «delle zone di particolare interesse ambientale» è dell'agosto 1985. Quella per «il riassetto organizzativo e funzionale per la difesa del suolo» è del 1989. Quella che ha istituito il servizio nazionale di protezione civile è del 1992.
Quella sul ciclo delle acque, la legge Galli, è del 1994. Dal punto di vista legislativo, come si vede, i provvedimenti più significativi risalgono tutti a quel decennio. E non a caso gli storici parlano degli anni Ottanta come di uno spartiacque. «Segnano una svolta importante quanto alla consapevolezza del carattere pubblico delle problematiche territoriali e dell'affermarsi dell'idea di ambiente come bene comune», scrive Gabriella Corona nella sua Breve storia dell'ambiente in Italia. Gli anni Ottanta sono anche quelli in cui nasce il ministero dell'Ambiente scorporato da quello dei Beni culturali e m cui si assiste alla fondazione della Federazione nazionale delle liste verdi. C'è dunque un legame fortissimo tra il generale clima culturale e la concreta azione politico-istituzionale. Viceversa, quando questo legame si è spezzato, e cioè negli anni della crisi economica, quelli in cui gli interessi sono tornati di colpo a «materializzarsi», ecco che tutto ha preso un'altra piega. E così, da un lato, il problema dominante oggi sembra essere quello di rendere quanto più massivo è possibile il turismo, costi quel che costi; e dall'altro, quando si cala a una dimensione più privata, tutto tende a confluire verso recinti marginali e nascosti. Recinti in cui il rapporto tra il cittadino e lo Stato non è più mediato dall'interesse comune, regolato per legge, controllato dai vigili urbani. Ma è semmai contrattato. Un recinto in cui ognuno crede di poter trovare la soluzione individuale più conveniente. C'è qualcosa di tutto questo, probabilmente, anche in una delle storie personali ricostruite a Torre Annunziate. Ma casi specifici a parte, non può non colpire il fatto che proprio in Campania questo calo di tensione ambientalista si stia manifestando fin troppo frequentemente. È già successo di recente in occasione della legge in discussione sul cosiddetto abusivismo di necessità. Ed è appena risuccesso l'altro giorno, quando nessuno ha ritenuto di commentare il rapporto annuale di Legambiente, dal quale risulta che la provincia di Napoli e la Campania sono le aree più «sporche» d'Italia. Unica eccezione è stata una foto pubblicata da questo giornale. La foto-simbolo di un equilibrio naturale ormai compromesso: quella di un gabbiano che, lì dove l'alveo fognario arriva nel mare di San Giovanni a Teduccio, afferra un topo e se lo porta via.
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