di Filomena Baratto
Vico Equense - “L’Italia si fa strada” è questo lo slogan dell’Anas, azienda che opera sulle strade dal 1928 quando nacque come Azienda Autonoma Statale della Strada. L’odierna Anas fu istituita il 27 giugno del 1946, Azienda Nazionale Autonoma delle Strade Statali. Gestisce sotto vigilanza del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e ha come socio il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Da allora ne ha fatta di strada, o forse bisognerebbe dire che ne ha messo di cemento rendendo l’Italia un paese di viadotti e gallerie rendendo il paesaggio una ragnatela. Notevoli sono le strutture che risentono dell’ impatto ambientale, che come un pugno nello stomaco si trovano lungo tutta la rete. Ma da un po’ di tempo i ponti non reggono e le gallerie altrettanto. Col cattivo tempo e l’arrivo dell’inverno, diventano il vero problema nazionale. E all’”Italia che si fa strada” si dovrebbe sostituire lo slogan “l’Italia che crolla”. Eppure l’Anas ebbe un ruolo fondamentale nel dopoguerra, quando riparò 21.146 km di strade. Con l’inizio del boom economico, dal 1955 cominciò l’incremento della rete stradale, passando da 500 a 5500 km di autostrade nel 1975. Ma l’Anas non è solo azienda che opera sul territorio nazionale, nel 2012 nasce L’Anas International Enterprise S.p.A. con interventi soprattutto in Africa Orientale.
L’Italia è un paese da un punto di vista idrogeologico molto dissestato e su cui si è costruita una rete stradale infinita. A questa si sono aggiunti sempre nuovi viadotti e varie gallerie di piccole e grandi percorrenze, come se non esistesse più la Valutazione Impatto Ambientale (VIA). E’ questo un concetto che nasce negli anni sessanta in America come studio per prevedere e valutare l’impatto di una struttura sull’ambiente. Ultimamente sembra che l’Anas non valuti più questo parametro nella costruzione di un’opera, diventando da ente che ha permesso di percorrere l’Italia in lungo e in largo, a costruttore di opere esclusivamente mastodontiche, perdendo di vista la manutenzione che, se non effettuata, si rivela di gran lunga peggiore delle opere costruite male. Ci sono strutture che reggono da 1950 e che da allora non sono state per niente monitorate. Il precipuo interesse è quello di costruire ex novo disponendo una massiccia cementificazione a tappeto, imbrigliando le nostre montagne, bloccando o andando a sconfinare in posti pericolosi e che non andrebbero per niente toccati, anche in vista di una pessima manutenzione. Sicuramente è molto meglio costruire daccapo che ristrutturare costantemente su tutto il territorio, facendo lievitare i costi molto più della costruzione. Ma al punto in cui si è giunti con tali e tanti lavori messi in essere, si dovrebbero sospendere le nuove costruzioni e passare diversi anni a rivedere le vecchie strade, viadotti, tunnel e non aspettare che scappi il morto come motivo per avviare una revisione a tappeto. Le gallerie all’inizio della penisola sorrentina, quella di Varano e Privati, come anche quella di Vico, sono di grande Impatto ambientale, costruite su un terreno di cui non si è tenuto conto dell’elemento acqua, importante e vitale per la comunità e allo stesso tempo disturbatore alla costruzione. Le colline sono state prima bombardate in modo barbaro e alla stessa stregua di un terremoto telecomandato, poi martorizzate per quanto riguarda flora e fauna. Una costruzione del genere dovrebbe avere tutti i crismi per rendere l’opera sicura al 100% senza lasciare nulla al caso. Questo non avviene. L’unico interesse è il risparmio, tanto ci sarà la manutenzione. Materiali scadenti e lavori approssimativi. Per un ponte crollato si muore in Sicilia come a Milano, segno che l’incuria è su tutto il territorio nazionale. Una volta l’Anas aveva la priorità di avvicinare, unire, ora che ha costruito di tutto, si dimentica che la costruzione prevede la manutenzione e che le opere vanno controllate, ristrutturate, adeguate e riviste. Le gallerie di Privati e Varano sono oltretutto pericolose, qui incidenti e morti sono quasi all’ordine del giorno, per essere strette e tortuose, poco illuminate, con acqua che scorre in tempi buoni, figuriamoci durante i temporali. Sono strade percorse da tutti, svincoli importanti, che snelliscono il traffico. La sicurezza stradale dovrebbe stare al primo posto e forse una galleria mal costruita e con criteri sballati induce a maggiori incidenti. Ed ecco che se una volta l’Anas era vista come la strada d’Italia, oggi quel mito è stato sfatato. Ponti che crollano, tunnel poco sicuri rendono la circolazione al loro interno alterna e insicura, ma parliamo di opere costosissime che a volte cadono anche nel dimenticatoio e nell’incuria e a volte chiuse anche per anni. Sono la prima a non percorrere gallerie che reputo inaffidabili e pericolose, poco illuminate, aereate, controllate. Tra le competenze dell’Anas rientra anche assistenza e vigilanza, ma ultimamente c’è solo il controllo di velocità, come se fosse la sola responsabile degli incidenti. E se poi ci vogliamo inoltrare ci sarebbe un ampio capitolo sugli appalti, che hanno in mano la costruzione delle nostre strade, che si rivelano molto spesso dei subappalti che adottano materiali scadenti se non pericolosi. La corruzione è diventata la tigre di oggi che fagocita tutto e per sfamarla chiudiamo gli occhi, forse troppi, se non tutti. E allora a che serve costruire un tunnel? Solo a dare lavoro e a prendere appalti? Sarebbe meglio a questo punto farsi chilometri di coda da percorrere come un viaggio piuttosto che percorrere un tunnel o un cavalcavia arrivando in tempo tante volte se poi ne basterà una sola, quella fatale, per costringerci a non passarci più per forza. Ma quello che è più grave è aver perso il senso di responsabilità che dovrebbe essere alla base di chi dovrebbe dare certezze e fornire soluzioni.
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