di Filomena Baratto
Vico Equense - Oggi che il mondo corre veloce e ogni cosa cambia in breve tempo, affidiamo alla carta i passaggi della nostra vita. Carta canta! Le parole devono avere un luogo, non basta più proferirle, si sa, verba volant, dicevano i Latini, scripta manent. Ma da un po’ di tempo alle carte abbiamo dato un archivio: il computer e tutto finisce qui dentro. E’ uno strumento di vita sociale, un contenitore, un fortino. Urge catalogare, conservare, mettere agli atti, informare, mantenere. Eppure si tratta di un parassita che si ciba della nostra intelligenza prendendosi ogni foglio su cui depositiamo i fatti. Il danno che ci rende è quello di farci perdere la memoria. Scatti una foto? E la immagazzini qui dentro, e poi la potrai vedere solo in miniatura, mai tra le mani in una bella carta color come si usava una volta. Il posto migliore per tenere le foto non è nel buffet o il cassetto della libreria, ma qui dentro. Scrivi a un ente? Non devi proprio disturbarti a mandare il protocollo per posta, qui dentro ci sono caselle, box, celle, che possono contenere le nostre produzioni giornaliere. I francobolli hanno finito la loro carriera, sono diventati pezzi da collezione. Una volta tra francobollo e carta c’era un rapporto d’amore e la sua fine era lì tra le braccia della busta, e mai ci fu cosa più eterna se ricordiamo come si tenevano i resti delle missive. Sono sopravvissute alla guerra, agli amori, ai cambiamenti. C’erano le più belle parole, scelte con cura ma soprattutto col cuore. La carta raccoglieva un corredo di emozioni e, ogni volta che si rileggevano, era come averle scritte in quel momento. Oggi il computer fagocita senza sosta. Eppure il consumo di carta è aumentato, per forza, se poi quello che immettiamo dovrà uscirne all’occorrenza. Allora vomita atti, richieste, lettere, notizie, modelli, è un continuo emettere quello che gli affidiamo. Ma a chi servono tutti quei file che si scrivono e che mai nessuno andrà a vedere, che nascono per tutelarci e finiscono per non essere nemmeno conosciuti? Abbiamo creato un cimitero infinito di tempo, di creatività, di scritti vari, di relazioni su relazioni, di articoli su articoli, di gran lunga superiori a quelli che leggeremo o conosceremo. Molti tra questi dormiranno sonni beati, nessuno mai ne prenderà atto. Stanno lì per tutelarci, dove troveremo sempre un verbale, una postilla, un registro, una data che farà il caso nostro.
Una volta esisteva il block notes, il diario, quelle belle agende annuali che attiravano per i colori e le scritte e che invogliavano alla scrittura. Anche il salumiere aveva il suo dove scriveva i debiti protratti dai clienti, con la penna sull’orecchio quasi a darsi aria di scrivano, come se fosse uscito dalle pagine del libro Cuore che sfornava i suoi racconti mensili. I bei quaderni colorati e quelle computisterie ruvide che sapevano di muffa stretti negli scaffali. Custodivano sempre una frase d’effetto, un disegno significativo, uno scarabocchio di quelli che si fanno mentre parli o ascolti qualcuno. Lo si sfogliava con gli occhi desiderosi di scoprire quello che avevi dato ai fogli, qual era lo stato d’animo, l’epoca, il giorno. Tiravi da quel foglio il vissuto. Carte ingiallite, mangiucchiate dal tempo, con l’odore della scuola, col profumo dell’insegnante impregnato su o quello di legno dello scaffale da cui veniva giù. Ma la carta serve a registrare ogni nostro passaggio su questo pianeta, una testimone oculare delle nostre imprese. Ci consegna premi, affetto, onorificenze, soldi, conoscenze… Ma da quando c’è la macchina computer la carta è diventata gelosa.
I fogli non si contano e talvolta si sprecano sotto le nostre mani a raccogliere idee. Forse in un futuro prossimo le parole si racconteranno da sole. Quelle che resisteranno al buio, senza vedere il sole, i colori, gli arcobaleni, i prati, faranno di nuovo capolino tra le righe. E la carta si immolerà per essere imbrattata, come sta facendo da un po’ da quando il computer le ha rubato le parole. Esse sono diventate frettolose e approssimative. Quando depositiamo tutto sulla carta, stiamo più tranquilli, senza, i nostri rapporti sono vuoti o inesistenti. La parola data non ha valore e anche se l’avesse, crediamo alla carta, all’atto, al protocollo che nessuno potrà contraddire. Eppure una volta Tommaso Moro diceva che non ci sono contratti che tengano quanto quelli dei sentimenti. Ed è possibile che questa massiccia produzione che regaliamo al computer nasca da una mancanza di valori e sentimenti diventati labili e veloci, di una vita che cambia continuamente rotta e desideri. Il tempo dell’incertezza esige che si contratti di più per acciuffare i rapidi mutamenti. Aumentano le nostre azioni e la necessità di protocollare. La burocrazia e l’economia, i moderni tiranni, chiedono atti. La scuola, il comune, il tribunale, gli uffici sono centrali di produzioni. E aveva ragione Pirandello con il suo Mattia, che persa l’identità, con la sua presunta morte, non esisteva per nessuno. Senza la carta che affermi chi siamo, noi non esistiamo. E se con la carta abbiamo bisogno di controllare le nostre azioni, senza non abbiamo fiducia dei nostri gesti, ci sentiamo in un continuo inganno. La carta è la memoria mentre le parole evaporano, sfumano, si riducono, diventano vane. La carta racchiude la storia e la storia è nata quando abbiamo cominciato a scriverla. Col tempo forse non ne avremo più bisogno, quando il computer più che mandare atti, ci parlerà con la sua voce e forse molte cose si ometteranno, si occulteranno, rendendoci solo in parte quello che gli avremo affidato. E forse prenderà il sopravvento diventando lui la mente e noi gli scrivani, con un ritorno al passato!
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