di Filomena BarattoC’era una volta il cavaliere, quello senza macchia e senza paura, ma anche quello che non c’è più: gentile, attento alle forme, al galateo, alle belle maniere. Avete capito, il cavaliere della portiera aperta, della giacca sulle spalle al chiaro di luna se fa freddo, della sedia spostata prima di sedere a tavola, del braccio offerto per non farvi cadere, dell’ombrello che vi porge se piove. Erano bei tempi! Più che vissuti, li abbiamo solo visti nei film.
Oggi il cavaliere è “inesistente”, e non mi riferisco al romanzo di Italo Calvino, ma proprio non esiste una persona del genere. D’altronde ci siamo mostrate capaci di aprire porte, ombrelli, sederci a tavola, alla guida di un’auto, fare benzina, prelevare al bancomat, stilare contratti, porci a capo di un’azienda. E in nome della parità i generi non hanno più alcuna peculiarità. Eppure mancano le attenzioni che non ci sono più, la gentilezza che è finita, le premure, l’educazione. Molti credono che la parità abbia azzerato le differenze, ma sono proprio quelle che andrebbero riservate, mentre la parità è intesa di esseri umani di eguali diritti e doveri. Intanto il cavaliere dovrebbe rispondere alle nostre continue richieste, ben diverse da quelle del suo tempo. E poi forse è cambiato il grado di cavalleria oggi.
Non ci manca tanto un maggiordomo, quanto un cavaliere pensante, operativo tutta la giornata, con cui condividere, consultarci, scambiare opinioni, confrontarci. E non dica: aspetta, dopo, non ho tempo, si vedrà, ti pare il momento, non m’interessa, tutte quelle espressioni sinonimi di non seccarmi. Un cavaliere che sappia ascoltare, anche le stupidaggini che si dicono durante la visione di un film, per esempio, che sappia gestire i nostri scoppi d’ira e di riso, che sappia consolarci o raccontarci un fatto, che non si arrabbi per un nonnulla.
Abbiamo bisogno di un cavaliere di compagnia più che di torneo. E’ sempre più difficile guardare un film e poterne parlare con qualcuno, o condividere il contenuto di un libro, avere un riscontro in proposito, se a nessuno interessa. Non tutti amano i nostri film o il viaggio che vorremmo fare.
La realtà è che pur vivendo in famiglia ci si comporta come i frati di un convento: “ora et labora”, ciascuno nei propri pensieri, assorto, pieno d’incombenze, senza farsi una risata, né spezzare il momento con un’evasione. A volte, pur condividendo la vita con gli altri, si è completamente estranei o diversi su gusti, idee e passioni. Un cavaliere potrebbe correre in aiuto con grande beneplacito della famiglia che non deve più farsi carico di ascoltarci. Certo potrebbe esserci anche la dama di compagnia, per la par condicio, ma da sempre solo il cavaliere è simbolo di cortesia, gentilezza, garbo, attenzione. Tra le dame se ne trovano anche di terribili. Immaginate una pettegola come Perpetua, tra i personaggi de I Promessi Sposi, o le dame di compagnia di regine e principesse che dovevano sopportare rituali stancanti o la Mammy di Rossella O’Hara, una vera croce al seguito. Ma un cavaliere come Lancillotto, Parsifal è tutt’altra cosa.
Oggi al cavaliere si chiedono maniere e cultura, educazione e passioni. Dovrebbe svolgere l’arduo compito di essere umano, non come chi ci pone in stand by mentre dà mano allo smartphone e si estranea dal resto del mondo. Non come chi a tavola, se ti viene di raccontare un film o una storia, ti zittisce per ascoltare il telegiornale, come se le notizie dal mondo fossero più importanti di te che sei lì accanto. Un cavaliere che non ti faccia attendere, che sia cortese, che ami la poesia, che conosca storie da raccontare, che sappia dire qualcosa al momento giusto. E se poi sapesse anche combattere, togliendoci di torno tutte quelle persone che ci fanno perdere tempo, noiose o per niente di aiuto, che ben venga. Se avesse anche del dolce da offrirci ogni tanto, per piccole pause, proprio come il maggiordomo più famoso della pubblicità, Ambrogio, non dispiacerebbe.
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