La morte di Cucchi senza colpevoli
Tra un po' la vicenda terrificante di Stefano Cucchi sarà dimenticata. La sua morte sarà derubricata a fatale incidente, e le tumefazioni a evento inspiegabile. La famiglia che si è battuta con dignità e coraggio sarà inghiottita nella solitudine di un lutto privato. E l' opinione pubblica non si domanderà più allarmata se nelle carceri italiane accadono cose indegne di un Paese civile. È uno scenario ipotetico e pessimistico. Speriamo che non si traduca in realtà ma molti, troppi indizi fanno pensare che anche stavolta potrebbe andare a finire così. La Direzione generale delle carceri, il cui documento è stato descritto da Giovanni Bianconi ieri sul nostro giornale, parla certo di una «morte disumana e degradante» e di una «incredibile, continuativa mancata risposta all' effettiva tutela dei diritti, in tutte le tappe che hanno visto Stefano Cucchi imbattersi nei vari servizi di diversi organi pubblici». Ma sembra escludere, in questa catena di incivili inadempienze, una responsabilità specifica degli agenti penitenziari sotto indagine presso la Procura di Roma. Negli stessi giorni le autorità sanitarie hanno reintegrato i medici del «Sandro Pertini» dove Cucchi è stato ricoverato e nascosto alla famiglia e dove è morto in circostanze ancora misteriose. Si profila già un deplorevole balletto tra carabinieri e agenti penitenziari in un gioco che Ilaria Cucchi definisce tristemente di «scaricabarile». Sembrano sbiadirsi i contorni di ciò che è realmente accaduto in quei giorni e in quelle notti, tra il carcere e l' ospedale. La famiglia Cucchi si è comportata sinora nel migliore dei modi. Chiede con insistenza la verità, con fermezza ma senza indulgenze per chi prende a pretesto l' allucinante vicenda che l' ha travolta per inscenare processi allo Stato e alle istituzioni. Ma non cede sul punto fondamentale. Vuole sapere tutto sulle lesioni, sulle ecchimosi che hanno devastato Stefano, sulle ragioni che hanno indotto i sanitari dell' ospedale a non permettere alla famiglia di visitare il loro congiunto, sulle cause di una morte così improvvisa, sulle condizioni mostruose in cui era ridotto il corpo di Stefano ripreso dalle fotografie dopo l' autopsia. Vuole che i colpevoli siano identificati: quelli veri. Non il capro espiatorio. Non un nome qualunque per appagare un' astratta fame di giustizia. Ma il rischio è che anche questo mistero produca un' assuefazione nell' opinione pubblica. Che l' attenzione pubblica scemi attorno a un caso che ha turbato gli italiani consapevoli che non è tollerabile l' inciviltà nelle carceri, il sospetto che si inscenino pestaggi, sopraffazioni, forme di violenza e di pressione nei confronti di chi, debole tra i deboli, non ha modo di difendersi. Il pericolo è che ci si rassegni. Che la morte di Stefano resti avvolta per sempre nella nebbia dell' indifferenza. Che prenda piede una dinamica autoassolutoria, tra chi si è occupato della detenzione in carcere di Stefano Cucchi e chi in ospedale avrebbe dovuto prendere in custodia un corpo malato di un giovane che dopo qualche giorno è morto senza che i familiari sapessero in quali condizioni si trovasse. Il garantismo è un principio sacro. Ma anche la verità lo è. Anche la civiltà delle carceri italiane dovrebbe essere una cornice irrinunciabile. Perché la ricerca di ciò che è veramente accaduto non sia solo l' ossessione di una famiglia lasciata in solitudine, ma un dovere per l' intera comunità che non tollera percosse, botte, incuria verso i malati. (Pierluigi Battista da il Corriere della Sera)
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