mercoledì 10 aprile 2024

L'intervista a Ciro Vanacore «Primo la spinta, poi calci e pugni così hanno ammazzato mio padre»

di Maria Chiara Aulisio - Il Mattino

Ciro Vanacore racconta quello che è successo a suo padre mentre sta raggiungendo lo studio dell'avvocato: «Dobbiamo difenderci, vogliamo giustizia. La chiediamo con forza perché mai più dovranno ripetersi tragedie come questa». Cominciamo dall'inizio. «Lunedì mattina intorno alle 9 mio padre si è messo in viaggio verso Napoli con mia madre e suo fratello. Siamo di Vico Equense, avevano calcolato che in circa un'ora sarebbero arrivati al Policlinico». Perché stava andando in ospedale? «Soffriva di cuore da molti anni, aveva già subito alcuni interventi chirurgici. Il medico di base era riuscito a fargli avere un appuntamento con i cardiologi della Federico II». Una visita programmata. «Da tempo. E meno male perché negli ultimi giorni papà non stava per niente bene. Faceva fatica anche a spostarsi da una stanza all'altra ma resisteva, sapeva che mancava poco all'appuntamento con gli specialisti». A che ora e dove si sarebbe dovuto trovare? «La visita era in programma tra le 10 e le 12 nel reparto di cardiologia, secondo padiglione, edificio 2. Purtroppo lì non è mai arrivato. È morto dopo qualche ora nel reparto di Rianimazione della stessa struttura». Parliamo di quello che è accaduto all'ingresso del Policlinico. Lei però non c'era. «Vi assicuro che è come se ci fossi stato, mia madre e mio zio mi hanno raccontato tutto nei dettagli». Come è nato il diverbio? «Ho difficoltà anche a ripeterlo, mi sembra una follia. Ho perso mio padre perché aveva chiesto di arrivare in Cardiologia con la macchina. Ho perso mio padre perché quattro guardie lo hanno preso a botte e il suo cuore malato ha ceduto». Come si è arrivati alla rissa? «In realtà lui si era limitato a chiedere una cortesia e comunque aveva garantito ai vigilanti che lo avrebbero solo accompagnato all'ingresso del reparto, poi l'auto sarebbe tornata indietro per andare a parcheggiare altrove». Quindi? «All'ennesimo no, mio padre è sceso dalla macchina e si è avvicinato alla guardiola nel tentativo di convincerli ad alzare la sbarra. È a questo punto che uno di loro lo ha strattonato con violenza facendolo cadere a terra».

 

Nessuno è intervenuto? «Sì, alcuni passanti lo hanno fatto ma mia madre mi ha detto che le guardie continuavano a picchiarlo. Era a terra mezzo morto e gli sferravano calci su calci». Raccontata così è agghiacciante. «Purtroppo lo è, e la conferma l'ho trovata sul corpo di mio padre pieno di lividi e ferite». Chi lo ha soccorso? «Per fortuna a un certo punto sono arrivati i carabinieri e le guardie hanno smesso di picchiarlo, il problema è che poi non arrivava l'ambulanza». Quanto tempo avete aspettato? «Precisamente non lo so. Quello che so è che i militari hanno sollecitato più volte il soccorso. Mio padre era svenuto, alcune persone mosse a pietà lo hanno hanno circondato per proteggerlo dal sole che gli batteva addosso. Ancora non ci credo». Poi l'ambulanza è arrivata? «Finalmente è arrivata, ma credo che la situazione ormai fosse irrimediabilmente compromessa. Lo hanno trasportato nel reparto di Rianimazione, ci hanno detto che hanno provato a salvarlo in ogni modo ma l'infarto che lo ha colpito non gli ha dato scampo». Gli inquirenti ritengono che siano quattro i vigilanti coinvolti nell'aggressione. «Mia madre mi ha detto che inizialmente in guardiola c'era una sola persona, forse due, quando è partita l'aggressione sono arrivati i rinforzi. Altri due personaggi che invece di mettere pace e proteggere mio padre dalle botte dei colleghi, hanno iniziato a menare pure loro. Quattro contro uno anche molto malato. Vorrei proprio sapere come riusciranno a mettere la testa sul cuscino».

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