giovedì 26 ottobre 2017

Marco non c’è più

di Filomena Baratto 

Vico Equense - Davanti casa mia c’è una piccola lapide con su la foto del ragazzo che lì perse la vita in un incidente stradale. Accanto sempre fiori freschi. Ricordo perfettamente quel giorno, come è accaduto, la scena di due ragazzi a terra, l’intervento da parte nostra per mantenere i feriti prima dell’arrivo dell’ambulanza. Marco, un nome questo di fantasia, non ce la fece e lì ha lasciato a sua anima. Lo strazio di come si consumò la tragedia può essere paragonato solo approssimativamente alla strazio di sua madre che vedo a giorni alterni lì accanto al figlio ad aggiustare un petalo, a spostare un fiore, tirare un’erbaccia, toccare la foto e mandargli un bacio, spesso strozzato da un singhiozzo. E non c’è pace, ancora oggi, dopo anni. Assistere a questo calvario lascia distrutti anche in chi partecipa. E quando di mattina presto scopro la finestra tirando la tenda scorrevole, mi si apre davanti la lapide di Marco, ancora accanto alla strada e ogni volta che la guarda mi ricordo come allora arrivò a tutta velocità e si scontrò con l’altro centauro che veniva in senso contrario. E’ proprio davanti alla mia finestra, dall’altro lato della strada. Mi sono così assuefatta a stare in sua compagnia che sembra di stare in due quando sono nello studio. Ogni tanto sbircio per vedere se c’è qualcuno: si fermano passanti, arriva sua madre, o parenti. I fiori sempre belli e freschi, lo spazio sempre ordinato. Ho imparato a convivere con Marco, lo sento che passeggia nei paraggi, che esce ogni tanto, che cammina lungo il marciapiede, ma la sera sempre a casa, non si sposta dalla sua lapide, dal suo spazio in cui è stato confinato. Forse va alla ricerca di qualcosa, si ricorda di qualcuno, crede di essere ancora tra noi, non ce la fa ad abbandonare quella che per lui si profilava una vita bellissima.
 
Quando osservo la sua lapide lo vedo ancora lì, a pochi passi appoggiato all’albero con la gamba sanguinante, che parlava, discuteva, quasi afflitto dell’altro ragazzo che più avanti versava in condizioni disperate. Lentamente il sangue alla gamba fu arginato mentre cominciava ad avvertire una forte sonnolenza. Mio figlio dovette asciugare litri di sangue poi sciacquati nel lavandino di casa e non credevo possibile ne avesse così tanto: mi ero fermata a cinque litri. Il sonno lo vinse quando giunse l’ambulanza e lo caricarono per portarlo all’spedale. Ironia della sorte lui morì subito dopo per una emorragia interna, mentre l’altro che sembrava in una situazione più disperata, si riprese. Marco non c’è più e sulla lapide c’è sempre un fiore fresco per ricordare quello spezzato. Noi stiamo qui per voler capire come dobbiamo comportarci perché non ci siano altri a morire come Marco e tutti quelli che sono caduti sulla strada.

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