martedì 14 febbraio 2017

La rivolta operaia degli avvocati

Da diciotto giorni digiuni e presìdi notturni contro la politica della Cassa forense: «Si pretende 3.800 euro l'anno di contributi da colleghi che sono ormai allo stremo» 

Fonte: Roberto Russo da Il Corriere del Mezzogiorno 

Napoli - «Illusi», «indecorosi». Commenti tutt'altro che amichevoli. Gli inizi sono stati davvero duri. Quando, diciotto giorni fa, un gruppo di avvocati napoletani capeggiati da Salvatore Lucignano, 38 anni, ha deciso di digiunare a turno e di trascorrere le notti all'esterno del palazzo di giustizia al Centro direzionale, non tutti l'hanno presa bene. Anzi. I colleghi più anziani e molti principi del foro ancora storcono il naso imbarazzati nel vedere le foto sui social che mostrano il gazebo con lo striscione e gli avvocati imbacuccati, stesi a terra come clochard mentre presidiano in coppia l'ingresso del tribunale. Un'iniziativa clamorosa e unica in Italia, se si esclude quella analoga del foro di Catania. I legali dormono all'interno di sacchi a pelo, su materassini ad aria. Si scattano selfie e si fanno coraggio l'un l'altro, assonnati e affamati. «Digiunare per sensibilizzare»: hanno chiamato così la loro protesta contro la Cassa forense, descritta come il nemico numero uno. «Colei che pretende 3.800 euro l'anno di contributi obbligatori — denunciano — per concederci, quando sarà, una pensione da fame: 6-700 euro se andrà bene».
 
La proletarizzazione della figura dell'avvocato, un tempo benestante borghese, è plasticamente resa dalle notti insonni nel Centro direzionale degli aderenti a «Nad», Nuova di Roberto Russo avvocatura democratica, l'associazione nata sull'onda della rabbia e di cui Lucignano è segretario nazionale. Chi sono gli altri «visionari» che hanno dichiarato guerra a una parte della loro casta? Rosaria Elefante, presidente. E ancora: Ciro Sasso e Giuseppe Scarpa, due tra i più nottambuli, quelli che hanno collezionato finora il maggior numero di dormite all'addiaccio insieme con i barboni che popolano le notti della cittadella degli uffici a due passi dal carcere di Poggioreale. «È vero — dicono — la nostra protesta somiglia ai picchetti degli operai davanti alle fabbriche in crisi e non ce ne vergogniamo». Alimentata per diciotto giorni e diciotto notti come un fiume carsico, ieri sera è finalmente sfociata nella prima manifestazione pubblica, la «Notte dell'avvocatura». In cento hanno portato alla luce in modo clamoroso il malessere degli avvocati di Napoli e provincia, quelli messi in ginocchio dalla crisi e vessati dalle tasse, ma soprattutto dalla odiata Cassa forense. Nell'ultimo anno circa 1000 di loro hanno deciso di abbandonare la professione: hanno preferito cancellarsi dall'Albo o autosospendersi. «Vi rendete conto della gravita del fenomeno? — sbotta Salvatore Lucignano — E i nostri rappresentanti nazionali che fanno? Niente, nulla, se non minacciare querele nei nostri confronti e invitarci al decoro. Noi non vogliamo diventare evasori, ma poter scegliere quanto destinare alla Cassa forense; vogliamo avere la libertà di versare contributi in un fondo assicurativo privato che ci garantisca una pensione dignitosa. Il 65% dei colleghi partenopei ha un reddito che non supera i limila euro l'anno. E allora, in queste condizioni, provateci voi a pagare circa 4000 euro ogni dodici mesi». Rivela Lucignano: «Ci sono colleghi che non stanno pagando le quote semplicemente perché non hanno un euro per adempiere. Ora, oltre a rischiare la cancellazione dall'Ordine, devono combattere con Equitalia che li perseguita». Nei mesi scorsi gli avvocati napoletani avevano avanzato la proposta di tagliare i contributi previdenziali al Congresso nazionale forense. «Sapete cosa ci hanno risposto? Che era inammissibile perché non è d'interesse della categoria». A giudicare dalle presenze di ieri sera l'interesse invece c'è, eccome se c'è. Anche perché gli iscritti a Nad sono già 200. Che si tratti di una protesta fondata è pure l'opinione di Armando Rossi, presidente dell'Ordine degli avvocati napoletani: «L'impoverimento è l'effetto di una forte crisi sociale ed economica ma anche dall'incidenza della gestione dei costi della politica forense. Desidero ribadire che come Ordine di Napoli non riceviamo ne gettoni ne prebende per la nostra attività, mentre abbiamo attuato una decisa politica di riduzione dei costi. E un segnale doveroso per tutti i colleghi. I costi della giustizia, l'eccessiva pressione fiscale e gli alti oneri previdenziali sono certamente problemi sentiti dalla categoria. A ciò si aggiungano onorari sempre più risicati. Occorre ripristinare i minimi tariffari e ridurre gli oneri — conclude Rossi — ma anche cercare nuove opportunità professionali, solo cosi si può affrontare una situazione davvero difficile per tanti colleghi».

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