Fritz Dennerlein |
Lo slogan è già disponibile: pallanuoto d’amare. È vecchio di oltre vent’anni, ma, oltre ad essere spiritoso, è ancora validissimo visto che in piscina il calcio d’acqua non riesce ad attrarre spettatori mentre a mare, nel suo ambiente naturale e nella stagione giusta che non è quella invernale dominata da re pallone, il pieno di spettatori e di consensi è assicurato. È sufficiente montare il campo – economico e brevettato da un geniale archi-artigiano napoletano, Vittorio Ercolano, che lavora in una officina molto simile alla grotta di Vulcano – e il gioco è fatto: la curiosità prima spinge i passanti a rendersi conto di cosa si tratta e, dopo, si resta attaccati alla balaustra perché lo spettacolo attrae. È andata così ogni qualvolta si è riusciti – che fatica – a portare la pallanuoto fuori dalla piscina, ma il successo sarebbe, come dice Verdone, un sacco bello se il “ritorno” a mare venisse organizzato da un team di professionisti del Coni e benedetto dalla Federazione. Il campionato, in pratica, dovrebbe spostarsi a mare, ma chi deve decidere ha paura di osare. Nonostante l’evidenza dei fatti e delle migliaia di spettatori richiamati dalla esibizione della nazionale di Sandro Campagna nello scenario dei Faraglioni. Il trucco, però, c’era: erano presenti anche i dirigenti Fin di estrazione pallanuotistica, non quelli della riva natatoria, ma questo non deve preoccupare, è il gioco delle parti che divide in maniera insanabile i dirigenti preoccupati di far galleggiare più i pacchetti di voti che gli atleti.
È una sfida complessa e difficile da vincere – alla latitudine italica cambiare abitudini è impresa di estrema difficoltà a meno che non si possieda la forza d’urto impressionante di facebook – ma val la pena di tentare perché in palio non c’è solo lo “sfizio” della novità, ma anche la salvezza di uno sport caro agli italiani, soprattutto rivieraschi, che altrimenti rischia di scomparire sopraffatto dalla concorrenza pedatoria e dalla scarsa capacità attrattiva (non spettacolare, si badi bene): decidere, in pieno inverno, di andare (alle 15 o alle 19 di sabato) in piscina sapendo che troverai al massimo altri cento “sfrantummati” che ce l’hanno fatta a convincere moglie/marito o fidanzata/o è impresa disperata e, quindi, se non si vuole cancellarla la pallanuoto si salva solo con una decisione coraggiosa, bagnata e fortunata. Si salva, cioè, riprendendosi il mare e riproponendo, in chiave non nostalgica ma spettacolare, il mare dove i campionissimi del “settebello” di Gildo Arena – il Maradona delle piscine – Pasquale Buonocore e Emilio Bulgarelli dava spettacolo per la gioia degli scugnizzi che sognavano di emularli – ecco la funzione educatrice dello sport – e di quanti passeggiavano sul lungomare che allora non era liberato, come pomposamente usa dire oggi, ma non era ingombro di schifezze. Perché non provarci, allora? I precedenti non mancano e sono più che incoraggianti anche perché la pallanuoto ripropone, a mare, il mito del gol e, quindi, eccita la fantasia popolare perché, forzando Bellavista, ‘nu gol ‘e Maradona scioglie ‘o sang dint’e vene. E non è previsto che la scena possa mutare, almeno in questo millennio. Il mare, quindi, è il palcoscenico ideale per Canottieri, Posillipo, Acquachiara e Rari Nantes, ma, dal momento che i matrimoni si fanno ancora in due è assolutamente necessario stringere un patto di alleanza con i cugini liguri depositari dell’altra metà dei valori e delle glorie della pallanuoto all time. E per questo la strada è spianata: a Recco, Camogli, Savona e Nervi sanno che o si fa così o si affoga. Il cronista è il titolare della tessera dell’associazione “Pallanuoto sempre” voluta da Gualtiero Parisio, Eraldo Pizzo – il mitico caimano recchelino – Nando Lignano, Renè Notarangelo e tantissimi altri che vollero ricordare l’indimenticabile Fritz Dennerlein realizzando il suo sogno: “O torniamo a mare, diceva, o troviamoci un altro lavoro”. Quando sciaguramente morì falciato sul raccordo autostradale della Napoli-Castellammare, il suo amico Giuseppe Volpe e un gruppo di volontari napoletani e genovesi, accorsi al nostro richiamo dopo aver pianto le nostre stesse lacrime, organizzarono, in suo onore, il Torneo internazionale di Vico Equense che ha vissuto dieci anni meravigliosi ospitando i team più forti del mondo. Fu un successo clamoroso che coinvolse i media internazionali, ma urtò la suscettibilità dei potentati locali che non seppero cogliere l’occasione: il Trofeo venne emarginato e la piccola benefica rivoluzione si spense nell’indifferenza. Questa, però, è l’ultima spiaggia e la Fin deve arrendersi all’evidenza: l’Italia ha ottomila chilometri di coste e da aprile a settembre il campionato di pallanuoto a mare può rappresentare un’attrazione emotivamente altissima e ricchissima di appeal. Come la Capri-Napoli e tanti altri must dello sport napoletano: le sfide tra i canottieri che gareggiano per la conquista della Pattison e della Lysistrata, i match-race tra le barche a vela e le audacissime sfide tra i bolidi della motonautica. Che facciamo, continuiamo a tenere gli occhi chiusi?
Nessun commento:
Posta un commento