domenica 19 novembre 2023

Campania, saldo negativo. I pensionati sono 175 mila più dei lavoratori attivi

L'allarme della Cgia di Mestre: «È sorpasso nel Mezzogiorno». In provincia di Napoli 809 mila addetti su 902 mila in quiescenza 

di Angelo Agrippa - Il Corriere del Mezzogiorno

Il sorpasso al contrario al Sud è già avvenuto. Il saldo è negativo. Quindi, la sostenibilità della spesa pubblica nel Mezzogiorno - se si dovesse considerare l'obiettivo del punto di equilibrio tra lavoratori contribuenti e pensionati - è già seriamente compromessa. Se a livello nazionale il rapporto è di uno a uno, nel Meridione il confronto tra le pensioni erogate e il numero degli occupati fa registrare un'impennata della spesa rispetto all'ammontare dei contributi versati: le pensioni pagate ai cittadini sono 7.209.000, mentre i lavoratori sono 6.115.000. Nel 2022 la realtà territoriale più virtuosa d'Italia è stata Milano (saldo dato dalla differenza tra il numero delle pensioni e gli occupati uguale a +342 mila). Al contrario, tutte in negativo le province del Mezzogiorno (tranne Cagliari: +10 mila; e Ragusa: +9 mila). Le situazioni più squilibrate, invece, riguardano Palermo (-74 mila), Reggio Calabria (- 85 mila), Messina (-87 mila), Napoli (-93 mila) e Lecce (-97 mila). In Campania, dove il saldo negativo è di - 175 mila, è la provincia di Caserta a far rilevare una differenza più contenuta: su 272 mila pensionati, sono 261 mila gli occupati (saldo: -11 mila); quella di Avellino su 157 mila pensionati conta 143 mila addetti (-14 mila); nel Sannio su 115 mila pensionati si registrano 89 mila lavoratori (-26mila); nel Salernitano il saldo negativo si fa più pesante, tanto che a fronte di 371 mila pensionati si calcolano 340 mila lavoratori (-32 mila); infine a Napoli e provincia, dove su 902 mila pensionati, si registrano 809 mila addetti (con un saldo negativo di -93 mila).

 

È quanto afferma una ricerca condotta dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre che lancia l'allarme sull'appesantimento progressivo del capitolo welfare a fronte dell'incalzante fenomeno della denatalità, dell'invecchiamento della popolazione e della presenza di lavoratori irregolari: il cosiddetto lavoro sommerso. Una sorta di tempesta perfetta che si abbatte con veemenza sul Mezzogiorno. Peraltro - segnalano dalla Cgia - tra il 2023 e il 2027 il mercato del lavoro italiano richiederà poco meno di tre milioni di addetti in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione. Nei prossimi 5 anni quasi il 12 per cento degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. Ma i giovani saranno sempre di meno. Una vera ricetta non c'è per invertire la tendenza in breve tempo. «Con sempre meno giovani e sempre più pensionati il trend può essere invertito in tempi medio-lunghi solo allargando la base occupazionale - suggerisce la Cgia di Mestre -. Come? Innanzitutto portando a galla una buona parte dei lavoratori "invisibili". Stiamo parlando di coloro che svolgono un'attività in nero che, secondo l'Istat, ammontano a circa 3 milioni di persone che ogni giorno si recano nei campi, nelle fabbriche e nelle abitazioni degli italiani a svolgere la propria attività lavorativa irregolare. È altresì necessario incentivare ulteriormente l'ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che siamo fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (pari al 50 per cento circa). Inoltre, bisogna rafforzare le politiche che incentivano la crescita demografica e allungare la vita lavorativa delle persone (almeno di quelle che svolgono un'attività impiegatizia o intellettuale). Da ultimo è necessario innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l'UE».

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