sabato 17 marzo 2018

I brigatisti e la voce delle vittime

Fonte: Mario Calabresi da La Repubblica

È un oltraggio vedere gli ex brigatisti seduti in uno studio televisivo ricordare cosa accadde quarant’anni fa in via Fani, come denunciato ieri dal capo della polizia Franco Gabrielli? Sì, lo è se non vengono ricordate le loro responsabilità, se si lascia loro il monopolio della verità e se ci si dimentica di chiamarli con il loro nome: assassini e terroristi. Non lo è invece se vengono messi di fronte alle loro colpe, alle contraddizioni della loro narrazione e se le loro dichiarazioni servono a ricostruire uno dei contesti più tragici della nostra storia. Per lungo tempo, ad ogni anniversario degli Anni di Piombo, sui giornali e in televisione a raccontare c’erano soltanto gli ex brigatisti, in tutte le loro versioni: pentiti, dissociati, nostalgici o irriducibili. Solo loro, come se esistesse una sola versione della storia. Mai un familiare, un amico o un collaboratore di chi era stato ucciso. La vita delle vittime sembrava non avere dignità di essere ricordata. Mi sono interrogato molto sul perché questo accadesse in modo ripetitivo e costante e sono giunto alla conclusione che i motivi fossero tre: pigrizia, sciatteria e sensazionalismo. Gli ex terroristi parlavano a gettone, non si doveva fare troppa fatica per contattarli e la polemica e l’audience erano assicurate. Molto più faticoso rintracciare e convincere a parlare un familiare delle vittime: erano necessari tatto, pazienza e la capacità di gestire dolore e frustrazioni. Inoltre era indispensabile mettere da parte convinzioni politiche ed essere disponibili a mettersi in discussione. Così metà della storia è rimasta per anni nell’ombra e stava sprofondando nell’oblio. Poi arrivò un prezioso libricino di Agnese Moro, in cui raccontava con delicatezza e amore gli aspetti privati del padre, in cui finalmente il leader della Dc rapito e ucciso dalle Brigate Rosse non era più un simbolo ma un essere umano.
 
A quel punto decisi di scrivere anch’io, per dare voce a chi non l’aveva mai avuta, per mostrare la devastazione e le ferite che la violenza politica terroristica e le stragi hanno lasciato in centinaia di famiglie e nella società italiana. Sottolineai lo strabismo del sistema informativo, denunciai le amnesie delle Istituzioni ma anche la necessità di guardare avanti. Mai avrei immaginato che così tanti italiani si sarebbero mobilitati per tenere vivo il ricordo e trasmetterlo alle nuove generazioni. Dal presidente Napolitano che sollecitò il Parlamento a istituire una Giornata della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi (si tiene il 9 maggio, giorno dell’uccisione di Moro) alle migliaia di insegnanti che hanno inserito il tema nei loro programmi scolastici, dai sindaci che organizzano commemorazioni e intitolano strade, piazze e giardini, fino ai cittadini comuni che portano un fiore. Molta strada è stata fatta, libri come quello di Benedetta Tobagi su suo padre Walter, giornalista del Corriere della Sera assassinato nel 1980, o di Sabina Rossa, figlia di Guido operaio e sindacalista genovese ucciso dalle BR, hanno fatto la differenza. Così come il volume uscito la scorsa settimana da Longanesi su “Gli eroi di via Fani”, in cui finalmente si restituiscono un volto e un’identità a quei cinque nomi della scorta: Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Francesco Zizzi. Perché la storia per essere credibile deve essere completa, devono esserci tutte le voci, i contesti vanno spiegati e rispettati e chiarite colpe e responsabilità. Finalmente la voce delle vittime è presente e per questo oggi sarebbe un errore rimuovere quella degli assassini, cancellarla. Il quadro sarebbe di nuovo monco. La differenza sta nel modo in cui li si fa parlare: le vittime si rispettano evitando la propaganda, le giustificazioni e combattendo omissioni e manipolazioni. Dopo quarant’anni si può provare finalmente a capire, su questo giornale lo stiamo facendo con il lavoro meticoloso e impressionante di Ezio Mauro, che ci ha mostrato come sia possibile intervistare una terrorista (dopo aver prima ascoltato il figlio di Aldo Moro) senza venire meno al dovere di sottolineare che la mano assassina era quella dei brigatisti, che unicamente su di loro pesa la responsabilità della strage della scorta e poi dell’omicidio. Da questo non si può derogare.

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