Fonte: Fabrizio Geremicca da il Corriere del Mezzogiorno
Un articolo, tre commi e un mare di polemiche. Ecco, in estrema sintesi, il decreto legge sui rifiuti che è stato approvato il 30 giugno in consiglio dei ministri. Il provvedimento avrebbe dovuto consentire di aggirare gli effetti della sentenza del Tar Lazio che, respingendo il ricorso della Italcave di Taranto contro una ordinanza della Regione Puglia – finalizzata quest’ultima a bloccare l’importazione di immondizia dagli stir campani – ha sancito l’illegittimità del trasferimento al di là della Campania dei rifiuti urbani, compresi quelli tritovagliati, se non nell’ambito di accordi istituzionali tra le Regioni e di un’ intesa della conferenza Stato – Regioni. L’articolo 1 del decreto legge, varato 48 ore fa dall’esecutivo, stabilisce sì che i rifiuti provenienti dagli impianti di tritovagliatura possano essere smaltiti fuori Campania, ma solo se c’è l’assenso della Regione di destinazione. Rispetto alla situazione precedente, quella ante decreto, salta solo la necessità dell’intesa nella conferenza Stato-Regioni. Resta preclusa la possibilità, su cui confidavano l’amministrazione de Magistris e la giunta Caldoro, di accordi tra gli enti locali campani e singoli Comuni o Province di destinazione. Di più: il decreto esclude che la Regione Campania possa siglare intese con privati gestori di discariche, con Comuni o singole Province. In mancanza di una intesa Regione-Regione non può uscire un solo grammo di tritovagliato dalla Campania. Per dirla in altri termini: la montagna (il decreto che avrebbe dovuto sbloccare le esportazioni di immondizia campana) ha partorito un topolino (è stata superata solo la necessità dell’intesa in conferenza Stato-Regioni).
Il secondo comma del decreto legge rafforza i poteri del viceprefetto Annunziato Verdè, il commissario per le discariche che fu nominato da Caldoro lo scorso inverno. Potrà realizzare gli impianti «anche esercitando in via sostitutiva le funzioni degli enti competenti (Province e Comuni), in deroga agli strumenti urbanistici vigenti». Nota, quest’ultima, che impensierisce non poco gli uomini della giunta de Magistris. «E evidente», si commentava ieri a palazzo San Giacomo, «che si punta a realizzare anche uno sversatoio a Napoli, dove sarebbe praticamente impossibile se si rispettassero gli strumenti urbanistici vigenti». Il terzo comma pone un limite ulteriore ai viaggi della spazzatura fuori Campania. Infatti, «i trasferimenti hanno come destinazione prioritaria gli impianti ubicati nelle regioni limitrofe, al fine di ridurre al minimo gli impatti ambientali sul territorio nazionale». Naturalmente questo comma non preclude la possibilità di cercare sbocchi anche in aree più lontane, come in effetti sta facendo la Regione Campania in queste ore, tuttavia crea ulteriori difficoltà a trattare con chi non è confinante. «C’è chi ci ha detto», facevano sapere ieri fonti vicine al governatore Caldoro,«di rivolgerci prioritariamente ai confinanti. C’è stato perfino qualche presidente di giunta che, forzando e snaturando il senso del testo, ha sostenuto di non essere autorizzato a sottoscrivere accordi per accogliere i nostri rifiuti, perché non confinante». Insomma, dalla lettura complessiva del decreto di due giorni fa emerge un dato: è ben poco incisivo e delude chi sperava potesse rappresentare la ciambella di salvataggio per la Campania. La delusione, legittima, non deve peraltro oscurare un sacrosanto mea culpa. Non si può non rilevare con sconcerto che la Campania, per non tornare con i rifiuti in strada, torna per l’ennesima volta ad affidarsi nei viaggi della speranza. Come all’epoca delle esportazioni di ecoballe in Germania. Come nello scorso inverno, quando i camion partivano dagli stir diretti in Puglia, in Emilia, in Toscana. Come sempre, o quasi, nell’ossimoro dell’eterna emergenza. La speranza è che sia davvero l’ultima occasione e che questo ennesimo appello alla solidarietà permetta di tirare il fiato per i mesi necessari ad organizzare finalmente a Napoli la macchina della differenziata col sistema porta a porta e del compostaggio. Anche perché, giova ricordarlo, i viaggi verso le altre regioni costano alle casse pubbliche tra i 150 ed i 200 euro a tonnellata. Tanto pretendono trasportatori e gestori degli impianti. Quei soldi potrebbero essere utilmente impiegati per finanziare un ciclo virtuoso dei rifiuti.
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