Fonte: Generoso Picone da il Mattino
Mentre Massimo D’Alema parla, sul telefonino arriva l’sms che informa della richiesta di arresto di Nicola Cosentino e dell’avviso di garanzia a Luigi Cesaro. «No, non commento. Non lo faccio mai in casi del genere. Dico soltanto, e senza alcun intenzione accusatoria, che Stefano Caldoro dovrebbe prendere atto della sua condizione di prigioniero di una maggioranza ormai non più credibile», spiega l’ex presidente del Consiglio nella sede di Confindustria Avellino, dove ha completato il suo viaggio nella crisi industriale in Campania, compiuto – dice – «da parlamentare del Pd del Mezzogiorno». D’Alema, lei ha concluso il percorso tra stabilimenti chiusi e capannoni semi-abbandonati, dalla Firema all’Irisbus passando per Fincantieri, incontrando ad Avellino i rappresentanti delle parti sodali – imprenditori e sindacati – che hanno sottoscritto il Patto per lo sviluppo dell’Irpinia. Quasi a voler terminare con una sorta dl speranza dopo la verifica dl tante difficoltà. «Si, mi sembra un’esperienza positiva che mette insieme tutte le forze operanti sul territorio. E il modello giusto: fare squadra, fare sistema e puntare a superare la crisi progettando».
In Valle Ufita, invece, l’altra faccia della medaglia. Si è ritrovato al cancelli dell’Irisbus dove Ciriaco De finta qualche mese fa invitò gli operai a occupare la fabbrica per protestare contro la volontà di dismissione della Fiat. «Una reazione del genere ha evidenziato la drammaticità del momento. Se una personalità come Ciriaco De Mita pensa di comportarsi come Enrico Berlinguer, dovendo ricorrere a gesti eclatanti e clamorosi, è il segno che anche lui ha avvertito la difficoltà di richiamare l’attenzione su una questione così importante. Mi riferisco all’attenzione del governo Berlusconi, totalmente assente di fronte ai problemi del Mezzogiorno. Speriamo che il governo Monti segni un’inversione di tendenza».
Oggi a che punto dl gravità sono arrivati? Lei ha visitato le aree dl crisi di Caserta, di Castellammare, dell’Irpinia e ha potuto constatarlo proprio nelle ore in cui si discuteva del decreto «Salva Italia» del governo Monti. Ritiene che contenga risposte alle domande che la Flrema, Fincantieri, l’Irlsbus pongono? «Oggi sono minacciate alcune realtà industriali fondamentali della Campania e di altre zone del Mezzogiorno. Tutti dobbiamo difenderle e dobbiamo chiedere al nuovo governo una politica industriale che salvaguardi questo patrimonio produttivo. Altrimenti rischiamo di arrivare con le gambe spezzate alla ripresa economica. Al Sud non mancano né le idee né le forze, ma occorre un piano strategico produttivo e di investimenti. Il Mezzogiorno deve tornare tra le priorità del Paese. Detto questo, però, non dobbiamo commettere un errore di metodo». Quale? «Il cosiddetto decreto “Salva Italia” non è un programma strategico, ma un insieme di provvedimenti per fronteggiare una situazione di eccezionale emergenza. E’ un passo obbligato. L’Italia, infatti, è stata portata sull’orlo del tracollo finanziario e rischia di trascinarsi appresso l’intera area dell’euro. E da qui che bisogna ripartire. Perché, naturalmente, una grande responsabilità l’avrà anche l’Europa, senza la quale le manovre dei singoli governi rischiano di essere inutili. Sarà a livello europeo, infatti, che dovranno essere adottate scelte decisive per avviare una ripresa complessiva». Nel merito, che giudizio dà del decreto Monti? «È una medicina amara, ma inevitabile. La manovra contiene segnali di novità che vanno nella direzione dell’equità sociale, ma non abbastanza. Per questo ci impegneremo a correggerla. Da una parte, non c’è dubbio che perla prima volta c’è un carico che andrà a pesare sulla parte più ricca del Paese. Mi riferisco alla tassa sulla casa, che sarà progressiva in rapporto al reddito e all’uso degli appartamenti, alla tassa sui beni di lusso e all’ulteriore prelievo sui capitale scudati. Sono misure che manifestano finalmente la volontà di chiedere di più a chi ha di più. Dall’altra parte, però, è assolutamente necessario che le pensioni più basse, anche quelle di mille euro, siano adeguate al costo della vita. Così come è fondamentale tutelare coloro che hanno svolto lavori usuranti e che hanno iniziato a lavorare precocemente. Noi non siamo al governo, né abbiamo la maggioranza. Siamo una forza politica che, di fronte alla situazione drammatica dell’Italia, si è assunta una forte responsabilità, non ha chiesto le elezioni, nonostante i sondaggi favorevoli. Adesso, affrontata l’emergenza, vi dovrà essere un’agenda perla crescita, per lo sviluppo». Lei immagina che questa fase possa servire anche ad avviare riforme importanti per l’avvenire, come quella elettorale? «Questa legge è pessima e dunque da cambiare. La de-legittimazione che la politica sta soffrendo in questi tempi è anche il risultato di questo assurdo sistema elettorale che va modificato in Parlamento. Il problema è che continua ad esserci il maggiore ostacolo che fino a oggi non ha consentito di fare una riforma. Cioè Silvio Berlusconi». In che modo pensa di rimuovere questo ostacolo? Il Pd sta lavorando a nuove alleanze con cui presentarsi alla scadenza elettorale? «E’ giusto ricordare che la crisi del governo Berlusconi è esplosa soprattutto per l’iniziativa congiunta delle forze politiche dell’opposizione, che insieme hanno lavorato per dare uno sbocco diverso e voltare pagina. Il dialogo c’è e deve continuare». Dialogo con l’Udc, vuole dire? «Il Pd punta a una maggioranza larga tra progressisti e moderati in una prospettiva di medio-lungo periodo, di ricostruzione. Questo progetto non può che essere sostenuto da un’ampia maggioranza che non può che comprendere il centrosinistra, ma che deve andare oltre i suoi confini, proprio per rispondere alle esigenze profonde del nostro Paese. L’Italia ha bisogno di recuperare il terreno perduto in questi anni di buio. Ora vediamo una timida luce, è indispensabile continuare con riforme importanti».
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