Mario D''Urso |
Roma - È morto a Roma a 75 anni Mario D'Urso, per un tumore. E già sembra impossibile immaginare quell'uomo così alto, asciutto, sempre impeccabile nei suoi gessati con pochette, costretto in un letto d'ospedale. A fare i conti con la sofferenza umana, così apparentemente lontana dalla sua esistenza glamour. Personaggio quasi letterario, una via di mezzo fra grande Gatsbye Curzio Malaparte, frale notti passate alle feste e la frequentazione di diplomatici e teste coronate di mezzo mondo. Sempre con leggerezza, per dirla con Calvino, mai con superficialità. Avvocato, nobile rampollo dei marchesi di Cassano, ex senatore (con il partito più "chic" dell'Ulivo, Rinnovamento italiano, durato il volo d'una farfalla ) e mille altre cose insieme. Soprattutto napoletano, con quella persistente ironia del napoletano nato bene, che si sente figlio una capitale europea. D'Urso si vantava di aver avuto un bisnonno «che aveva persino un suo treno privato, che imprestava ai rè». Banchiere, uno che a soli 28 anni, quando i suoi coetanei italiani sognavano Che Guevara e tiravano sassi ai poliziotti, era già volato a Washington per diventare amministratore della banca d'affari Lehman Brothers. I più giovani magari lo ricordano per la sua presenza alle feste della Roma magnona, ma sempre con quel distacco snob alla Jep Gambardella. In fondo essere stato amico di Jacqueline Kennedy e Henry Kissinger, di Gianni Agnelli e dei reali d'Inghilterra — unico italiano invitato a Buckingham Palace per i 100 anni della regina madre — lo metteva al riparo dalla cafonaggine delle terrazze. C'era anche la politica nella vita di D'Urso. Quella fatta giovanissimo nel movimento federalista di Altiero Spinelli e quella con Lamberto Dini, nel 1995, sottosegretario al Commercio estero. E quello strano rapporto con Fausto Bertinotti, che oggi lo piange come «un vero amico», il comunista e il ricco del jet set. In uno dei suoi tipici calembour una volta raccontò a un amico: «In fondo dovrei essere molto considerato dalla Chiesa. Perché è facile, come fa Madre Teresa di Calcutta, essere caritatevole con i poveri. Molto più difficile farlo con i ricchi». Un paradosso dei suoi, con dietro una distanza e, in fondo, un senso di pietas per quei ricchi che frequentava, così evangelicamente "poveri di spirito".
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