di Filomena Baratto
Vico Equense - Ogni anno, di questo mese, con l’inizio della scuola, scatta una polemica. Quest’anno la “Buona scuola” nasce all’insegna dei cambiamenti e delle novità con la legge 107, disorientando e togliendo la serenità necessaria per ricominciare.
L’altro giorno ad una riunione sindacale, mentre il collega sindacalista parlava, pensavo a quante cose ho visto passare sotto i miei occhi in 30 anni di insegnamento. Quanti cambiamenti, quante innovazioni vissute e poi subito invecchiate, diventando quasi obsolete nell’arco di qualche anno. Ogni qualvolta ci troviamo davanti alle novità, andiamo in tilt, siamo un popolo che mal le digerisce. Ricordo quello che successe con i nuovi programmi, e poi con i moduli, e ancora con tante altre innovazioni. Ma ogni anno, all’inizio della scuola, mentre fuori dalla classe imperversa la polemica di turno, all’interno i problemi sono sempre gli stessi. Un problema mai risolto è la fatiscenza dei locali scolastici, aggiustati in modo frettoloso per ricominciare, il lavoro sempre mal distribuito tra le parti, gli alunni disorientati tra le tante e continue trasformazioni. Bando a tutto quello che accade fuori dalla porta, tra le pareti di un’aula, la classe avverte necessità diverse. Trasmettere valori, raggiungere obiettivi, rendere socievole la scolaresca, educare attraverso gli esempi oltre che la didattica, sono percorsi da costruire durante l’anno, che restano malgrado passino i governi, le novità, le polemiche, gli scioperi, la lentezza burocratica, il malcontento da più parti.
Da quando sono entrata nella scuola, nel 1986, non ho mai avuto un buon rapporto con tutto quello che gira intorno alla classe. Il mio precipuo interesse è il rapporto con gli alunni, molto spesso oscurato da altre problematiche. Il malcontento regna sovrano comunque ogni anno, anche quando c’è una riforma acclamata.
Il prodotto delle leggi che si adottano è, alla fine, quello di assicurare un insegnante agli alunni, che spesso segue trafile lunghissime prima di arrivare in una classe e forse, una volta lì, non sa nemmeno se ci resterà; assicurare agli alunni insegnanti capaci e all’altezza del loro compito. Scoprirsi pedine come su di una scacchiera è deprimente, ma la macchina scuola è una delle più complicate che esistano e ogni volta, arrivati a questo punto, pullulano le situazioni di contorno, di politica, di interesse, di adattamento, di cambiamenti necessari.
Il vero scopo della scuola è formare classi per il domani, un impegno che ha bisogno di esempi, ma è anche vero che una volta definita la legge, questa va presa in considerazione senza scalpitare, anche perché le proteste rallentano il tutto e alla fine sono penalizzati proprio gli alunni.
Le assunzioni in tre fasi: A, B, C, il POF triennale, il Bonus annuale, il comitato di valutazione, lo staff del Preside, sono solo alcuni dei cambiamenti attuati dalla riforma e non è vero che i docenti non accettano. La parte docente non accetta lungaggini, non desidera essere trattata come un pacco postale spedita a destra e a sinistra azzerando la parte umana e poi pretendere dalla stessa quell’umanità e tutte quelle competenze necessarie per l’insegnamento. L’insegnante ha pari dignità dell’alunno e di ogni altro componente della società e, oltre ad insegnare è una persona con una famiglia, con figli, con affetti e quant’altro. Che gli spostamenti si facciano in tempo utile, che non avvengano all’ultimo minuto prima dell’inizio, che abbia il tempo di ambientarsi così come trattiamo e usiamo fare con la platea scolastica. Un insegnante sereno comincerà un buon anno scolastico. E non mi si venga a dire che il suo lavoro è quello e deve farlo secondo i crismi richiesti. Il lavoro dell’insegnante è quanto di più delicato si possa chiedere. Tratta con ragazzi di tutte le età e deve essere sempre pronto, attento e paziente. Doti che vanno corroborate a loro volta da un ambiente altrettanto sereno. In classe c’è un’interazione continua fatta di dialoghi, di spiegazioni, di ascolto, di indicazioni, di condivisione. Non è un lavoro di ufficio, con grande rispetto per l’ufficio, in classe il materiale è umano, della specie più complessa. Gli si chiede di essere psicologo, sociologo, competente nella sua materia, sempre al top. Anche perché gli alunni sono di estrazione eterogenea, ognuno col suo bagaglio, con le sue condizioni e situazioni familiari. In classe non ci devono essere differenze e un insegnante di qualità mette la scolaresca a suo agio e tutti sullo stesso piano. Senza contare quella continuità che si instaura tra alunni e insegnante e che spesso viene spezzata con forza, producendo non solo tristezza, ma anche difficoltà nel ricominciare. Gli aspetti psicologici del comparto scuola sono forse di gran lunga più importanti di tutto il resto, ma anche quelli mai presi in considerazione ed è in questo punto che una riforma futura dovrebbe andare ad approfondire. Un aspetto sempre bistrattato per credere che insegnare sia solo assicurare un docente in cattedra.
Una giornata scolastica è un mondo a sé, fatta di momenti entusiasmanti, di vita comune, di relazioni, di attenzione. La classe è una comunità che tutti i giorni si misura con se stessa e con il mondo fuori e dove l’arbitro è l’insegnante, che non solo educa, ma allo stesso tempo impara. L’educazione è un rapporto attivo, dal docente al discente e viceversa. Lì c’è un mondo in miniatura e il comportamento adottato riflette quello dell’intera società e viceversa.
Che ben vengano le novità al passo coi tempi, i cambiamenti, le trasformazioni, ma tutto nel rispetto di tutti.

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